Una volta che il caso del Cavaliere arriverà in Aula a Palazzo Madama, 20 berlusconiani potrebbero chiedere lo scrutinio segreto sulla presunta incostituzionalità della legge Severino e quindi far rimandare la questione alla giunta per il regolamento. Ma qui ormai c'è la maggioranza Pd-M5s-Sel-Scelta Civica e quindi la proposta non passerebbe. Ma gli uomini dell'ex premier avrebbero guadagnato altro tempo. Ma nel frattempo Grasso non ha ancora convocato la conferenza dei capigruppo per fissare la discussione finale
Esiste una possibilità per la quale il Pdl butti la palla ancora una volta in corner, faccia perdere altro tempo, dirotti nuovamente il percorso verso il voto in Aula per la decadenza di Silvio Berlusconi da senatore della Repubblica. E ancora una volta riguarderebbe la presunta incostituzionalità della legge Severino per l’altrettanto presunta irretroattività di quelle norme. Il parere uscito dalla giunta per il regolamento di Palazzo Madama sul voto palese da applicare ai casi di decadenza è stato formulato – come spiegano i senatori che l’hanno votato – in modo da essere praticamente inattaccabile, ma al Popolo delle Libertà resta comunque quest’ultima carta. Disperata e per niente risolutiva – anzi -, ma potrebbe essere giocata per tirare ancora per le lunghe una vicenda che sta andando avanti ormai da 3 mesi.
La cosa certa è che il dispositivo dell’organismo ha messo il “silenziatore” alla possibilità data ad almeno 20 senatori di chiedere in Aula il voto segreto. Di scuola, con il regolamento alla mano, la relazione approvata dalla giunta per le elezioni (in questo caso è quella che propone la decadenza di Berlusconi da senatore) non ha bisogno di un voto: viene illustrata e se non c’è nessuno che si oppone viene fatta propria dall’Assemblea e la proposta (in questo caso di decadenza) viene considerata approvata. Se invece qualcuno non è d’accordo (inutile dire quanto sia questo il caso, visto che il Pdl da mesi è armato di ascia bipenne), deve formulare e presentare un ordine del giorno da mettere ai voti.
Qui entrano in gioco due norme citate dal parere finale della giunta per il regolamento: il 135 ter comma 2 e il 113 comma 3. Il 135 ter, comma 2 recita: “Fino alla chiusura della discussione in Assemblea, almeno 20 senatori possono formulare proposte in difformità dalle conclusioni della Giunta, mediante la presentazione di ordini del giorno motivati, in mancanza dei quali l’Assemblea non procede a votazione, intendendosi senz’altro approvate le conclusioni della Giunta”. Il 113 comma 3 dice una cosa analoga: “Sono effettuate a scrutinio segreto – si legge – le votazioni comunque riguardanti persone e le elezioni mediante schede”.
Qui interviene la pronuncia della Giunta per il regolamento che introduce due novità. La prima: tutti i casi di decadenza per incandidabilità sopravvenuta (non però gli altri casi di contestazione come ad esempio quello di annullamento delle elezioni per riconteggio delle schede), dovranno essere votati da ora in poi a scrutinio palese. La seconda: quelli sulla decadenza per incandidabilità sopravvenuta non sono più considerati voti sulla persona (perché in questo caso lo scrutinio dovrebbe essere segreto come per le autorizzazioni a procedere), ma voti a tutela della composizione dell’organo parlamentare. E per questo lo scrutinio deve essere palese. In sostanza il Senato vota per tutelare la piena rappresentatività della sua assemblea. In questo modo vengono messi da parte sia il 135 ter comma 2 sia il 113 comma 3.
Restano in piedi tuttavia altri due commi dell’articolo 113. Il quarto in particolare consente ancora ad un gruppo di almeno 20 senatori di chiedere il voto segreto, ma per un altro motivo: cioè la corretta applicazione degli articoli della Costituzione che vanno dal 13 al 32 (ad eccezione del 23). Nel caso Berlusconi, ad esempio, a prescindere dal parere approvato dalla Giunta, 20 senatori del Pdl (e non è difficile trovarli) potrebbe sempre presentare un ordine del giorno per chiedere il voto segreto visto che a loro avviso con la legge Severino si metterebbe in discussione l’articolo 25 della Carta, quello che riguarda appunto l’irretroattività delle norme sull’incandidabilità. Ma i berlusconiani dovrebbero motivare bene le loro ragioni perché il regolamento a questo punto consente solo al presidente Piero Grasso di decidere il da farsi, alla luce ovviamente di quanto deciso oggi dalla Giunta per il Regolamento. E lui potrebbe tornare a consultare la stessa Giunta. Una sorta di gioco dell’oca che finirebbe, come si è visto oggi, con il voto di una maggioranza che già si è formata a favore del voto palese (7 sì contro 6 no). E qui, finalmente, ci si potrebbe rifiutare di mettere ai voti l’ordine del giorno in cui si chiede il voto segreto. Ma nel frattempo il Pdl avrebbe guadagnato – e fatto guadagnare al suo capo – altro tempo.
Mesi? Difficile dirlo. Il calendario del Senato fino al 22 novembre è composto ma la decadenza di Berlusconi non c’è. Ad oggi Grasso non ha ancora convocato la conferenza dei capigruppo per fissare la data del voto finale (era il “patto tra gentiluomini” uscito dalla precedente riunione assicurato dal Pd). Nessuna data è stata quindi fissata nonostante i nuovi inviti della capogruppo del Movimento Cinque Stelle Paola Taverna e l’auspicio del capogruppo del Partito Democratico Luigi Zanda: “Abbiamo fatto passare già molto tempo. Sarà una data prossima”. Secondo le voci che circolavano in giornata al Senato Grasso avrebbe voluto convocare la riunione dei presidenti di gruppo già al termine del voto in giunta e fissare la data tra il 4 e il 15 novembre prossimi. Ma non l’ha fatto.