Un piccolo simbolo della vita “diversa”, degli oltre mille giorni passati in rifugi improvvisati, fra tempeste di sabbia, spostamenti continui per nascondersi alla vista dei droni e degli aerei francesi e per sfuggire alla guerra che, a gennaio 2013, è scoppiata nel nord del Mali. Pare che gli ostaggi fossero distanti un centinaio di metri dal luogo dove, nel marzo scorso, è stato ucciso Abou Zeid, il loro rapitore, un algerino a capo della katiba est di Aqmi.
Fra i diversi fattori che hanno contribuito al loro rilascio, c’è il cambio di strategia di Hollande, passato dall’intransigenza a una posizione più possibilista sul pagamento del riscatto (pare siano stati pagati 20-25 milioni di euro, al momento del sequestro la richiesta era di 100 milioni di euro). Un ruolo importante ha giocato Mohamed Akotey, un tuareg, uomo di fiducia del presidente Mahamadou Issoufou. Ex ministro del Turismo nigerino, ora a capo del consiglio di amministrazione della società che dovrebbe sfruttare il nuovo giacimento d’uranio di Imouraren, ha tessuto una rete di contatti con i capi tuareg maliani implicati nella ribellione e vicini ad Aqmi, in particolare con Iyad ag Ghali, capo di Ansar Dine.
Sui molti dettagli della prigionia e della liberazione forse sapremo di più dai racconti di Daniel, Marc, Thierry, Pierre. Oggi, quando Hollande ha passato loro il microfono, non hanno voluto prendere la parola. Neanche per un ringraziamento di rito.