Dopo gli slogan, le battute e le ospitate, cosa resta della Leopolda, la convention di tre giorni di Matteo Renzi? Visto che il sindaco di Firenze è proiettato verso la segreteria del Partito democratico e, un domani non lontano, verso Palazzo Chigi, vale la pena raccontare quale sia il suo programma economico. Non è facile, perché a parole Renzi è più generoso con le immagini evocative che con i numeri. Ma ci sono ormai diverse fonti per capire in che direzione si muove: il discorso conclusivo della Leopolda, la puntata di Otto e mezzo di venerdì, il documento congressuale “Cambiare verso” con cui si candida alla segreteria, l’intervista al Corriere della Sera del 18 ottobre e, soprattutto, i materiali preparati dal deputato Pd Yoram Gutgeld, cervello economico del renzismo che coordina la rete di consulenti che stanno dando il proprio contributo alla elaborazione di una linea economica definita. Tra un paio di settimane il programma di Gutgeld, ex consulente aziendale della McKinsey, diventerà un libro, di cui si parlerà parecchio.

Ecco quindi, per punti, una sintesi della Renzinomics così come la conosciamo per ora. Molti punti sono ancora da definire: il sindaco promette di spiegare bene cosa vuole fare per il lavoro e la disoccupazione entro il primo maggio (data non vicinissima) e non ha mai fornito dettagli su quale parte della spesa pubblica intenda sacrificare per realizzare i suoi costosi obiettivi, primo fra tutti quello di tagliare l’Irpef di 100 euro a chi ne guadagna meno di 2. 000 netti al mese.

Bonus fiscale
E’ la proposta più forte della politica economica di Renzi: 100 euro al mese in più a chi ne guadagna meno di 2000 netti, un sostegno che dovrebbe arrivare dalla riduzione dell’Irpef, l’imposta sul reddito. È una promessa molto costosa, nell’ordine dei 20 miliardi all’anno, ma si può partire con 10 miliardi per dare un beneficio immediato da 50 euro. Dove trovare tutti questi soldi? Renzi ha detto che fino a 10 miliardi si recuperano tagliando la spesa per consumi intermedi dello Stato (130 miliardi), almeno 5 miliardi dalle dismissioni, tipo la vendita delle case popolari agli inquilini e facendo pagare alla Cassa depositi e prestiti una parte della spesa in conto capitale, cioè per investimenti. Buona parte di queste coperture valgono solo per il primo anno, durante il quale Renzi promette una revisione della spesa pubblica in modo che i 10-20 miliardi si trovino anche per gli anni seguenti. Operazione annunciata dal 1981 e mai realizzata. Se non riesce, il bonus fiscale sarà effimero e il suo beneficio trascurabile. E la vendita una tantum del patrimonio pubblico non ripetibile. Contraddizione: al Corriere della Sera Renzi aveva detto che “tutto ciò che viene dalla dismissione del patrimonio pubblico va a ridurre il debito pubblico”.

Equità previdenziale
Anche se la Corte costituzionale ha bocciato i precedenti prelievi di solidarietà (ora riproposti da Letta nella legge di Stabilità), Renzi propone interventi sulle pensioni alte e – con meno fermezza – su quelle di chi ha beneficiato del sistema retributivo. E quindi oggi riceve un assegno superiore a quanto gli spetterebbe in base ai contributi effettivamente versati. Renzi propone di chiedere un contributo alle “pensioni d’oro” e modificare anche il sistema degli assegni sociali, “dando di più a chi ha più bisogno”. A questo si lega l’idea di rivedere l’assistenza, riorganizzando le risorse oggi divise tra Comuni, Regioni e Inps, concentrandole su chi ha redditi più bassi (mentre oggi spesso non dipendono dal reddito ma hanno carattere universale). Finora i prelievi sulle pensioni più elevate – dall’impatto più simbolico che effettivo per le casse pubbliche – sono stati giudicati incostituzionali perché, di fatto, penalizzano in modo arbitrario una categoria di cittadini. A maggior ragione rischia di essere bocciato un prelievo su chi è andato in pensione col retributivo: rispetto ai futuri pensionati è privilegiato, ma la legge è dalla sua parte.

Occupazione
Nel programma per le primarie del Pd, Renzi non parla molto di lavoro, si limita a promettere una riforma dei centri per l’impiego che devono aiutare i disoccupati a reinserirsi. Non scende nei dettagli, ma la logica è più trasparenza nella gestione dei contributi e regole più chiare, con i sindacati costretti a certificare i loro bilanci, sottoponendoli quindi a un controllo esterno. Idem per le associazioni datoriali (tipo Confindustria) che devono rendere più chiaro quanti contributi incassano dalle aziende socie. Nessun accenno al mercato del lavoro, ma la linea è quella del contratto unico di inserimento (modello Ichino o Boeri), con tutele progressive. Ha promesso un “piano per il lavoro” entro il primo maggio. Il messaggio di Renzi sul mercato del lavoro si è progressivamente annacquato (resta contrario a ulteriori riduzioni di tutele per chi è già assunto in caso di licenziamento), soprattutto per ottenere l’appoggio dei sindacati. Il contratto unico comporta una riforma degli ammortizzatori sociali di cui il sindaco di Firenze non parla. Il tema comunque non è abbastanza condiviso nel Pd per diventare un punto chiave.

Conti pubblici
Un anno fa Renzi metteva tra le sue priorità la riduzione del debito pubblico dal 133 per cento al 100 per cento in tre anni. Adesso sui conti pubblici ha una posizione meno rigorista: sostiene che l’Italia deve ridiscutere il tetto del 3 per cento al rapporto tra deficit e Pil, perché basato su ipotesi di crescita dell’economia del 3 per cento all’anno che non si sono mai realizzate. Questo è uno dei punti più vaghi nel programma che, in altre parti, considera invece il rigore contabile importante. Renzi non spiega se vuole deroghe per gli investimenti o per la spesa corrente (ma par di capire che sia la prima ipotesi). Ma soprattutto non spiega come pensa di ottenere una simile concessione europea e se questa sua posizione implica anche una contrarietà al pareggio di bilancio strutturale che, oltre a essere parte dei trattati europei, è stato di recente anche inserito nella Costituzione. Visto che per i prossimi anni il deficit stimato è sempre sotto il 3, Renzi di fatto chiede di aumentare la spesa pubblica senza copertura, cioè in deficit.

Economia reale
Renzi non promette miracoli sull’industria. Ispirato da Oscar Farinetti di Eataly chiede di valorizzare il made in Italy (non si capisce bene come), vuole un rafforzamento del fondo di garanzia che aiuta le imprese ad avere credito e promette di rivedere gli incentivi pubblici alle imprese. Sulle Grandi Opere, Renzi vuole concentrare le risorse su quelle che producono più impatto sull’occupazione e che sono immediatamente utilizzabili, invece che sui grandi cantieri che durano decenni. Il programma più articolato è quello per una riforma dell’assicurazione Rc Auto, che ne faccia scendere il costo per i clienti. Non mancano promesse (vaghe) di favorire le start up, cioè la nascita di nuove aziende. Renzi ha un atteggiamento passivo verso le ripercussioni della crisi, non predica protezionismo e neppure una vera politica industriale. La riduzione degli incentivi pubblici l’aveva promessa Mario Monti (che commissionò l’apposito Rapporto Giavazzi), ma poi si è rivelata politicamente troppo difficile da fare. Il passaggio dalle grandi alle piccole opere è condiviso in modo trasversale, ma si scontra poi con le lobby che sostengono progetti come quelli del Tav Torino-Lione.

Da Il Fatto Quotidiano del 29 ottobre del 2013

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