Nella relazione firmata dal ministro dell'Interno Alfano si parla di favori negli appalti, irregolarità nelle gare, debiti del Comune non riscossi. Al centro, secondo la commissione d'accesso della Prefettura di Milano, "l'interccio politico-affaristico" che ruotava intorno al sindaco Celeste e all'imprenditore Costantino, accusato di essere un emissario della 'ndrangheta
Al Comune di Sedriano, 20 chilometri a nordovest del centro di Milano, esisteva “un’intesa tra alcuni amministratori pubblici”, a partire dal sindaco, “ed esponenti delle consorterie malavitose, finalizzata ad assicurare ai primi l’appoggio elettorale delle organizzazioni localmente dominanti, in cambio di benefici non solo economici“. Tra questi, appalti di favore, crediti non riscossi, documentazione antimafia non richiesta. Lo scrive il ministro dell’Interno Angelino Alfano nella relazione al presidente della Repubblica che ha portato allo scioglimento dell’amministrazione di Sedriano per infiltrazioni mafiose, primo caso in Lombardia.
Al centro dell'”intreccio politico-affaristico” c’era il sindaco Pdl Alfredo Celeste, in sella dal 2009. Ma “l’attività ispettiva ha riscontrato elementi di continuità tra l’amministrazione eletta nel 2009 e quella eletta nelle precedenti consultazioni del 2004”. Solo un accenno, ma pesante, dato che alla tornata precedente l’amministrazione eletta era di centrosinistra, con sindaco Enrico Rigo. La relazione di Alfano sintetizza il lavoro della commissione d’accesso nominata dalla prefettura di Milano (composta da Adriana Sabato, Stefano Simeone e Nunzio Rosario Guercio) dopo che il sindaco era finito in carcere in un’operazione antimafia, la stessa che poco più di un anno fa ha portato dietro le sbarre con l’accusa di voto di scambio l’allora assessore regionale Domenico Zambetti. Partendo dall’inchiesta coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia guidata da Ilda Boccassini, per sei mesi la commissione ha spulciato gli archivi del Comune, trovando diverse “pezze” documentali a favore dello scioglimento, dovuto a “concreti, univoci e rilevanti elementi di collegamento diretti e indiretti degli amministratori locali con la criminalità organizzata” e al “forte condizionamento degli stessi”.
La relazione di Alfano omette i nomi, ma la Dda di Milano individua la “cerniera” con le cosche in Eugenio Costantino, imprenditore cinquantenne originario di Cosenza e legato, secondo l’accusa, alla potente cosca Digrillo Mancuso di Limbadi (Vibo Valentia). E soprattutto, come dimostrano le intercettazioni, in strettissimi rapporti con il sindaco Celeste. A Costantino, si legge nella relazione, “legato da parentela ad altro consigliere comunale di maggioranza, su indicazione del sindaco è stato affidato un ruolo di primo piano nell’ambito della gestione del settore urbanistico“. Sempre a Costantino, emerge dall’inchiesta giudiziaria, “sono stati promessi i lavori di ristrutturazione di un manufatto di proprietà dell’ente”, di cui avrebbero certamente “beneficiato anche imprese collegate alla criminalità organizzata di matrice ‘ndranghetista“.
Al Comune di Sedriano i presunti favori si concretizzavano grazie “all’ingerenza degli organi politici sull’operato di quelli burocratici”. Ne è un esempio un appalto di riqualificazione urbana e creazione di aree verdi, per il quale “le ditte da invitare sono state indicate direttamente da un componente dell’organo esecutivo“, cioè da un membro della giunta. Agli imprenditori amici, inoltre, venivano concessi favori indebiti in caso di mancati pagamenti di tributi, oneri e servizi, comprese “rateazioni illegittime” E “su indicazione del sindaco è stata talvolta disposta la restituzione di quanto già versato, senza adeguata motivazione”. In alcuni casi, “il procedimento di riscossione non è stato attivato o è stato attivato con ingiustificato ritardo”.
E proprio le società indebitate e “viziate” da irregolarità contributive riuscivano ad “aggiudicarsi la manutenzione del verde cittadino”. Il tutto grazie a “delibere e determnine prive di adeguata motivazione”. La commissione d’accesso rileva “un generale contesto di illegalità” nelle procedure di appalto, oltre a un sistematico ricorso a “perizie suppletive”, “varianti in corso d’opera“, “frazionamento degli affidamenti”. Tutti trucchi che consentivano di “eludere” le regole.
Ecco, secondo i commissari nominati dalla prefettura, lo scambio politico mafioso a venti chilometri da Milano. Perché l’imprenditore Costantino, secondo gli inquirenti, era anche un collettore di voti. Che non solo aveva “carburato” la vittoria di Celeste alle amministrative del 2009, ma era pronto a sostenerne l’ascesa in parlamento (dove peraltro, con la legge elettorale tuttora in vigore, gli agganci politici contano più del consenso personale).