Ventidue senatori “innovatori” hanno promosso un appello al presidente del Senato Piero Grasso affinché non ascolti il parere della Giunta per il regolamento sul voto palese per la decadenza da senatore di Silvio Berlusconi. E’ la parte alfaniana, dunque, o governativa. Insomma quelli che finora hanno costretto il Cavaliere a rimanere nella maggioranza delle larghe intese impedendogli qualsiasi spallata, anche dopo che lui aveva già deciso di far dimettere tutti i parlamentari e di ritirare i ministri dal governo. Come previsto da molti, però, il voto in giunta per il regolamento che ha deciso che si voterà con scrutinio palese sull’espulsione di Berlusconi dal Parlamento sembra ricompattare i berlusconiani e conferma quello che tra le righe aveva detto lo stesso Cavaliere (“La sinistra ha fatto un autogol”). Su questo fronte, infatti, cioè sulla protezione del leader dalla “persecuzione giudiziaria”, si trovano di nuovo fianco a fianco i duri e puri (che nella loro guerra senza quartiere vorrebbero anche buttare giù Letta) e i governativi che picchiano forte quando c’è da difendere il capo, ma fanno intendere che “prima c’è il Paese” (Roberto Formigoni, per esempio, lo ha ripetuto nelle ultime ore). “Il parere della Giunta, oltreché tecnicamente infondato, contravviene alle regole della correttezza istituzionale” dicono le colombe. Ci si prepara insomma alla battaglia finale, sui tempi più che nel merito della questione: il Pdl ha un’ultima carta per rivedere la decisione sul voto palese.

Ma questo che sembrava un atto di fede da indirizzare a Berlusconi ha fatto l’effetto dell’acqua fresca. Il Cavaliere accelera e vuole mettere all’angolo Angelino Alfano e gli altri. “Una rapida e positiva conclusione della dialettica – ha affermato in una nota in serata – verso il rilancio di Forza Italia ci consentirà di poter convocare il consiglio nazionale nel più breve tempo possibile”. Il Cavaliere gioca contemporaneamente due partite in una: dentro quella sulla decadenza c’è quella dentro al partito e quella dentro al partito è legata a doppio filo con quella sulla decadenza. 

Berlusconi: “Consiglio nazionale il prima possibile”
L’ex presidente del Consiglio invoca l’unità, ma in pratica stringe le mani intorno al collo del segretario: “Ho appreso con soddisfazione che il documento politico votato all’unanimità dall’ufficio di presidenza del Popolo della Libertà è già stato sottoscritto da una amplissima maggioranza dei componenti del nostro consiglio nazionale” scrive Berlusconi. Il Cavaliere cita il consiglio nazionale, proprio l’organismo invocato dai “governativi” che si rifiutarono di partecipare all’ufficio di presidenza che ha cancellato il Pdl e rifondato Forza Italia. Lì si fondano le speranze – forse false – degli “innovatori” perché non è un direttivo di sole 24 persone come l’ufficio di presidenza, ma un parlamentino da quasi 800 persone.  “Mi auguro – continua l’ex capo del governo – che, nell’interesse dell’unità del nostro movimento politico, si possa raggiungere un’ancora più ampia condivisione di tale documento, permettendo una rapida e positiva conclusione della dialettica che si è avviata in questi giorni verso il rilancio di Forza Italia e che ci consentirà di poter convocare il consiglio nazionale nel più breve tempo possibile. Tale auspicio di unità e di concordia del nostro movimento ci viene chiesto con forza anche dai nostri militanti e dai nostri elettori, che più di tutti desiderano un centrodestra unito”.

In realtà Berlusconi avrebbe soprattutto sbattuto in faccia ad Alfano i numeri delle forze in campo dentro al partito: “Abbiamo sondato l’intero partito regione per regione – gli ha detto secondo l’Associated Press Italia – i due terzi del pdl stanno con me e solo un terzo è pronto a seguiti in un’eventuale scissione”. E le sentenze senza appello di Berlusconi hanno coinvolto, secondo l’Adnkronos, anche il governo: “Sono pronto a sostenere il governo, ma la legge di stabilità va cambiata laddove prevede nuove tasse”. Insomma: in consiglio dei ministri bisogna fare la voce grossa perché la Finanziaria così com’è non può essere accettata. Di più: non può essere votata.

I 22 senatori “governativi”: “Bisogna votare con lo scrutinio segreto”
Tornando alla decadenza i 22 firmatari dell’appello a Grasso sono in sostanza coloro che avevano annunciato di votare la fiducia al governo Letta anche se Berlusconi e il Pdl avessero deciso di ritirarla. Il documento è stato proposto da Luigi Compagna (primo firmatario) e sottoscritto da Piero Aiello, Andrea Augello, Laura Bianconi, Giovanni Bilardi, Antonio Stefano Caridi, Federica Chiavaroli, Francesco Colucci, Nico D’Ascola, Roberto Formigoni, Antonio Gentile, Carlo Giovanardi, Marcello Gualdani, Giuseppe Marinello, Bruno Mancuso, Paolo Naccarato, Giuseppe Pagano, Luciano Rossi, Maurizio Sacconi, Francesco Scoma, Salvatore Torrisi e Guido Viceconte ed è stato condiviso anche dal ministro per le Riforme Gaetano Quagliariello. “Non vi può essere alcun dubbio – scrivono – sul fatto che il tipo di votazione in esame riguardi una persona e che dunque, ai sensi del terzo comma dell’articolo 113 del regolamento, debba avvenire a scrutinio segreto. Tale regola consolidata rappresenta un argine contro il rischio che delicate questioni che riguardano singoli senatori e non coinvolgono in alcun modo l’indirizzo politico del Senato e quindi la dialettica fra maggioranza e opposizione e fra le forze politiche, possano essere risolte sulla base degli schieramenti parlamentari senza alcuna considerazione del merito specifico delle stesse. Ed è proprio per tali ragioni che il regolamento prevede un meccanismo di votazione idoneo a garantire a ciascun senatore la necessaria libertà di coscienza”.

I 22 “innovatori” definiscono “del tutto speciosa l’argomentazione” della giunta che ha deciso che i voti sulla decadenza per incandidabilità sopravvenuta dovranno essere sempre considerati non su una persona, ma a tutela della corretta composizione del Senato. E però, dicono le “colombe”, l’eventuale deliberazione riguarda in ogni caso una persona e quindi “non può che essere adottata a scrutinio segreto. I 22 citano ancora il regolamento del Senato e in particolare l’articolo 113 comma 3  (“inequivoco”) che “prescrive”, dicono i senatori, lo scrutinio segreto ogni volta che si tratta di esprimersi su una persona. Insomma, è “inopportuno invertire una prassi consolidata” in virtù di un parere della Giunta espresso” a strettissima maggioranza e sulla base di considerazioni meramente politiche”. 

Battaglia in Parlamento: lo scontro sul regolamento non è finito
Ma insieme all’appello a Grasso dei 22 e in attesa che lo stesso presidente del Senato convochi la conferenza dei capigruppo per fissare la data del voto finale, il Pdl è pronto alla “battaglia in Parlamento” già annunciata dallo stesso Angelino Alfano. Uno scontro sui codicilli, naturalmente, che avrà l’effetto – se non di cambiare l’esito sia della giunta per le elezioni che ha proposto la decadenza di Berlusconi sia della giunta per il regolamento che si è espressa per il voto palese – di ritardare ancora il momento della “verità”, cioè del dentro o fuori dal Parlamento per il Cavaliere.

Discussione in Aula possibile tra il 7 e il 14 novembre
L’obiettivo dei berlusconiani è quindi resistere. Il calendario fissato dalla conferenza dei capigruppo non prevede la questione decadenza entro il 22 novembre, ma tra i fedelissimi del Cavaliere nessuno esclude che il presidente Grasso rinuncerà alla prerogativa di convocare la riunione per integrare il calendario. Questo non passerebbe all’unanimità e quindi andrebbe poi votato dall’Aula (con esito scontato, vista la nuova maggioranza creatasi in Giunta), ma insomma la quasi certezza (suffragata dalla “fiducia” espressa dai grillini) è che Grasso potrebbe proporre la calendarizzazione nella prossima capigruppo, ancora non convocata, e che la data fatidica potrebbe cadere tra il 7 e il 14 novembre. Non è un caso che la battaglia è stata annunciata proprio in Parlamento. Parola d’ordine, buttare pallone in curva.

Pdl, Lega e Gal pronti a una mitragliata di mozioni
Il Popolo delle Libertà comunque, quale che sia la data del voto finale sulla decadenza, pulisce le canne delle sue bocche di fuoco. Il centrodestra potrebbe per esempio presentare molti ordini del giorno – magari in accordo con gli alleati Lega Nord e Grandi Autonomie e Libertà – su aspetti regolamentari distinti, lasciati scoperti dalla decisione della Giunta. L’ipotesi più concreta, sebbene remota, è che il punto su cui farà leva il centrodestra è l’articolo 25 della Costituzione che parla della retroattività di una legge (questione contestatissima, come si sa, dal Pdl), ma anche del “giudice naturale” (e anche qui i berlusconiani protestano da mesi sul fatto che la sentenza di condanna di Berlusconi sia arrivata da una sezione feriale). Insomma: assalto alla legge Severino. 

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