Caro Bruno,

come certamente saprai il 19 ottobre si sono finalmente tenuti a Milano i funerali di Lea Garofalo, la donna uccisa perché aveva scelto di essere testimone di giustizia sulle faide interne tra la sua famiglia e quella del suo ex compagno. Ma non è per questo che ti scrivo, nello stesso giorno, mio figlio D. di vent’anni ha partecipato alla manifestazione degli antagonisti a Roma, sfociata in una serie di atti vandalici inutili e controproducenti. Ho provato a parlarne con lui, sostenendo che forse sarebbe stato meglio restare tutti a Milano a rafforzare un momento in cui attorno ai resti di Lea, celebravamo un grande dolore, ma anche gioia per i risultati che il suo sacrificio stava dando. Non siamo riusciti a spiegarci anche se ho evitato di contrapporre le ragioni delle due manifestazioni, cosa che forse avrei dovuto fare.

Questa la lettera di un vecchio amico, e con il suo consenso provo a rispondere pubblicamente.

Caro Antonio,

il calvario di Lea Garofalo è stato lunghissimo ed è durato ben oltre la sua morte. Il processo ai suoi assassini, sottovalutato dalla stampa, solo grazie alla mobilitazione di un ostinato gruppo di studenti milanesi, non si era svolto nel totale silenzio dell’aula. Gli avvocati della difesa avevano continuato a negarne la morte, attribuendo la sua assenza al fatto che fosse a divertirsi su qualche spiaggia assolata, mentre il suo corpo invece giaceva carbonizzato. Solo grazie alla ferma e lucida testardaggine di sua figlia Denise, si è riusciti a ritrovare il corpo e a far condannare i colpevoli di quella morte (tra cui il padre di Denise) come si può leggere anche nel bel libro di Marika Demaria, La scelta di Lea.

Chiedo consiglio anche a Nando Dalla Chiesa, che con quei giovani che hanno fatto da pubblico/custode al processo, ci ha lavorato. Il punto è proprio questo, la vicenda del martirio di Lea è poco nota, ed è emersa fortemente solo con i funerali. In pochi, ma ogni giorno sempre di più, si stanno rendendo conto di quanto la lotta alle mafie sia alla base del riscatto di un paese che fatica a ritrovare la sua dignità. La si può fare osteggiando con fermezza e coerenza ogni giorno l’ingiustizia, sentendoci responsabili personalmente, a partire da piccoli, ma importanti gesti che rifiutano qualsiasi, anche se minima, logica mafiosa, ma anche scendendo in piazza. Molti di quanti hanno manifestato quel giorno a Roma avrebbero potuto essere a Milano e viceversa. Non tutti, fortunatamente.

Bruno Contigiani

www.vivereconlentezza.it

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