Mps è in corsa contro il tempo. Entro la fine del 2014 deve riuscire a raccogliere 2,5 miliardi di euro con un aumento di capitale. L’alternativa è la nazionalizzazione.
L’aumento di capitale serve infatti per rimborsare (in parte) i 4 miliardi di euro prestati dal Tesoro italiano con la sottoscrizione dei “Monti-bond”. In sostanza, se Montepaschi non inizia a restituire il prestito, lo stato converte i bond in azioni e diventa il maggiore azionista della banca.
Un percorso a marce forzate previsto dal piano di ristrutturazione della banca, reso noto il 7 ottobre, che è stato in pratica dettato dalla Commissione Europea.
Il presidente di Mps Alessandro Profumo sta cercando in tutti i modi di convincere nuovi investitori che potrebbero aderire all’aumento di capitale. Nell’assemblea straordinaria del 18 luglio è stato abolito il tetto del 4% al possesso azionario nel capitale della banca senese, previsto per gli azionisti diversi dalla Fondazione Montepaschi e ora i giochi sono più che mai aperti.
La Fondazione è ancora ufficialmente l’azionista di controllo, con il 33,5%, ma la sua importanza è destinata a ridursi progressivamente, visto che sarà costretta a cedere le sue azioni per ripagare il debito residuo di 350 milioni di euro che ha con dodici banche (alle quali la Fondazione ha già dato in pegno le azioni).
Ma chi prenderà il posto della Fondazione? A questa domanda, per ora, nessuno è in grado di rispondere. Si parla di ipotetici soci stranieri, forse russi, addirittura indiani, che avrebbero incontrato il presidente Profumo, ma non sembra siano in corso trattative.
Per l’ex sindaco di Siena e manager di Mps Pierluigi Piccini, alla fine la nazionalizzazione potrebbe essere l’unica strada possibile. Piccini ha lanciato l’idea di un accordo tra Mps e BancoPosta, che potrebbe avere la Cassa Depositi e Prestiti come garante. “In effetti – spiega Piccini – BancoPosta colloca già prodotti di altre banche”. Un’idea che non dispiacerebbe a Yoram Gutgeld, deputato Pd e consigliere economico di Matteo Renzi, sentito dal mensile Valori. “Un’ipotesi di fusione con BancoPosta potrebbe avere un senso” – ha spiegato Gutgeld. “BancoPosta è un soggetto che fa raccolta di risparmio e attività retail. E’ un soggetto bancario dello stesso settore di Mps”.
A Roma, intanto, sembra che nessuno abbia un’idea su un possibile piano di nazionalizzazione nel caso l’aumento di capitale si trasformasse in un flop – come molti temono. Al momento un esecutivo debole, schiacciato dai vincoli europei sul budget e dall’agenda economica del Pdl è costretto a subire i diktat di Bruxelles su Mps e non sembra avere alcuna visione sul futuro della terza e più antica banca italiana.
Alla fine potremmo essere costretti ad assistere a una nuova svendita, con un socio straniero (magari la solita banca francese) che si porterebbe a casa Mps per quattro soldi. Oppure all’ennesimo pateracchio all’italiana, con l’iniezione di nuovo capitale pubblico per tappare buchi, sperando in un domani migliore. A meno che qualcuno, dalle parti del ministero dell’Economia, non inizi a pensare a un piano B. Prima che sia troppo tardi.
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