Nobile lavoro quello dell’infermiere. Peccato sia spesso sottovalutato, sottopagato, e ultimamente anche poco richiesto, nonostante molti reparti degli ospedali siano sotto organico. Come in un corto circuito, il bisogno di personale e le reali possibilità di trovare lavoro sembrano non combaciare. Molti neolaureati in infermieristica non trovano un primo impiego, e come per ogni professione c’è chi preferisce cambiare vita e trasferirsi all’estero con tanto di pergamena in tasca. È il caso di Antonio Pitino, 26enne che da Modica si è ritrovato a Vienna, passando per il nord della Germania. “Dopo la laurea a Bologna, due anni fa, non riuscivo a trovare lavoro. Cercavano sempre infermieri con esperienze pregresse, che io naturalmente non avevo. Nelle cliniche private preferivano chi aveva la partita Iva, un bel risparmio rispetto ad assumere qualcuno a tempo indeterminato”.
I concorsi pubblici sono un altro tasto dolente: quando ci sono, sono aperti per una manciata di posti a fronte di centinaia di richieste. “Con questi numeri, passare è davvero difficile. Inoltre, ricordiamoci che siamo in Italia e magari in certi concorsi i posti erano già assegnati”. Antonio decide di non tralasciare nessuna possibilità, e invia decine di curricula. La svolta arriva con un annuncio di lavoro per la Germania: “Ormai mandavo cv in automatico, quindi l’ho mandato anche lì. Tre giorni dopo mi hanno fissato un colloquio, e la settimana successiva ero già in Germania”. Un miracolo con qualche lato negativo. L’agenzia intermediaria italiana che reclutava personale poneva come condizione all’assunzione la frequenza di un corso di lingua tedesca di tre mesi, che Antonio doveva poi ripagare nel primo periodo di lavoro. “Sapevo che mi sarebbe costato quattromila euro, il problema è stata la qualità. Il corso era davvero strutturato male, e il tedesco l’ho imparato da solo”. Anche l’esperienza di lavoro nella clinica dove Antonio si è fermato un anno e mezzo non è stata entusiasmante: “Lavoravo nel reparto di terapia intensiva in una clinica riabilitativa nei pressi di Hannover. Il ruolo dell’infermiere era sottovalutato, peggio che in Italia, e i colleghi erano molto chiusi, ti guardavano sempre come ‘il solito italiano’ che non sa la lingua e non conosce il lavoro. All’inizio non parli certo come la Merkel, ma ti porti dietro questa nomea anche quando cambi e migliori”.
Antonio però non si arrende, e decide di non tornare nonostante l’approccio in salita. “L’avrei vissuta come una sconfitta, anche perché la situazione in Italia è persino peggiorata”. Volendo sfruttare anche la conoscenza del tedesco, Antonio tenta la carta dell’Austria. Va ad informarsi per il riconoscimento del titolo di studio e lo ottiene in una sola settimana (nel primo caso, invece, l’agenzia italiana lo aveva fatto assumere alla clinica tedesca senza fornirlo). Senza indugi, Antonio si licenzia e parte all’avventura: “A Vienna non avevo ancora una casa e un lavoro. Era luglio, ho caricato i bagagli in auto e sono andato a stare in albergo. Nel giro di pochi giorni ho trovato un alloggio e sono stato assunto in un ospedale. Sono ancora in terapia intensiva, ma qui abbiamo responsabilità, siamo i primi ad intervenire nelle emergenze, maneggiamo strumentazioni e farmaci importanti. I colleghi sono un po’ riservati, ma almeno ti aiutano e spiegano le cose educatamente”. Nonostante le prime difficoltà, l’agenzia disonesta e la nuova lingua, Antonio non si è dato per vinto. Perseverando, sta trovando la sua strada. “A tornare in Italia non ci penso proprio, per ora. Magari fra una ventina d’anni. Qui ti licenzi e dopo una settimana trovi un altro lavoro a tempo indeterminato. Quando trovi una possibilità così nel nostro Paese?”.