E pensare che c’è ancora chi, per ignoranza crassa, imperdonabile stupidità o spregevole malafede, afferma che la lotta di classe costituisce un concetto oramai superato dai tempi, roba da archeologia del pensiero. Si tratta invece di una realtà più che mai viva ed operante, solo che a combatterla sono, prevalentemente se non esclusivamente, i ricchi ed i loro rappresentanti politici.
Guardate ad esempio l’operato del governo Letta. Sul piano fiscale, che costituisce uno dei terreni più importanti della lotta di classe, è riuscito a spostare l’onere delle imposte sulle abitazioni sui ceti meno abbienti. In particolare la Trise verrà a gravare in parte sugli inquilini, fomentando ulteriormente il deleterio e tremendo fenomeno degli sfratti. Inoltre è chiaro che, rifiutando di colpire in modo più pesante i ricchi, si pongono le premesse dell’aggravamento della crisi fiscale e dell’inevitabile prossima bancarotta di servizi pubblici e istituzioni.
La progressività delle imposte è del resto richiesta dall’art. 53 della nostra Costituzione, a norma del quale “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività“. Un’altra disposizione costantemente inapplicata sia per l’esistenza di iniquità nel sistema, sia per lo spazio lasciato alle elusioni, sia infine per il fenomeno dell’evasione fiscale.
Perfino il Fondo monetario internazionale avrebbe indicato la necessità, per tutti i Paesi europei, di un’imposta patrimoniale pari al 10% delle ricchezze detenute dalle famiglie per far fronte al debito che grava su di essi. Successivamente lo stesso Fondo ha smentito la notizia e la smentita è ovviamente in linea con le tradizionali e deleterie linee raccomandate da tale poco utile, anzi decisamente dannoso, carrozzone burocratico internazionale gonfio di funzionari super-pagati quanto inutili.
Eppure, al di là di affermazioni e smentite di questa o quella istituzione, quella di una pesante tassazione patrimoniale delle persone più agiate è una necessità sia dal punto di vista normativo, data l’esistenza di disposizioni come quella citata, sia da quello pratico, come via d’uscita alla crisi fiscale ben più efficace delle vaneggiate privatizzazioni che portano, come dimostrato da molte vicende concrete, solo alla liquidazione del patrimonio industriale nazionale. Come pure tale imposta si configura, unitamente a una ricontrattazione del debito pubblico e alla sua liquidazione selettiva, comprensiva anche di misure di annullamento unilaterale, come unica via d’uscita all’eccessivo indebitamento che rappresenta oggi uno dei principali fattori di crisi economica e sociale.
Inutile però illudersi che la classe politica oggi in campo possa prendere strade di questo genere. Il Pdl, perché rappresentante dei ceti parassitari ed evasori, il Pd, sia nella versione larghe intese lettiana che in quella dell'”alternanza” renziana, perché anch’esso sostanzialmente omogeneo all’ideologia dominante che vuole scaricare solo sui lavoratori, giovani, disoccupati e piccoli imprenditori il costo della crisi. Tutti costoro continuano a mettere pesantemente le mani in tasca solo a questi ed altri settori sociali, che costituiscono la grande maggioranza del popolo italiano anche in assenza di significative reazioni da parte delle vittime delle loro estorsioni.
Non è chiaro invece il pensiero al riguardo del Movimento Cinque Stelle. L’oracolo Beppe Grillo ebbe ad esprimere tempo fa la sua personale contrarietà a tale ipotesi. Per poi, forse, cambiare idea. Ecco quindi un altro terreno dove l’autonomia del gruppo parlamentare e del movimento dovrebbe svilupparsi a spese del rachitico e contraddittorio pensiero dei suoi oramai squalificati e controproducenti guru. Ce la farà il Movimento ad emanciparsi anche su questo piano dai suoi tutori? Occorre augurarselo, nell’interesse del Paese che ha bisogno urgente di una vera alternativa, anche e soprattutto sul piano fiscale e su quello della distribuzione del reddito, sia per motivi di equità che di rilancio economico, ovvero, al punto in cui siamo, per ragioni di mera sopravvivenza.