Allora, quanto vale la vita di una donna? Crediamo che occorra sicuramente una legge all’altezza dei tempi ma non può bastare dissuadere il violento, poiché non ha consapevolezza neanche della pena, occorre intervenire nel profondo della nostra società, in primo nella scuola e nella famiglia, dando alla donna il ruolo che i tempi moderni le prospettano, ma soprattutto imparando a guardare anche altrove, nel mondo maschile per esempio. Perché a volte basta solo cambiare prospettiva per vedere le cose in maniera diversa. D’altra parte, non va trascurato che il femminicidio trova i suoi presupposti, come già accennato, in un clima culturale (o subculturale?). Difatti, anche osservando i dati provenienti dalla Tabella 5 che si riferiscono al complesso dei crimini (compresi gli omicidi a prescindere dalla distinzione in femminicidi o di altra natura) appare, quasi in contraddizione con quanto appena detto, che le donne, mediamente, non subiscono più degli uomini i diversi delitti contro la persona, ma è la tipologia dei delitti che differisce tra gli uni e le altre. A parte la violenza sessuale, che ovviamente colpisce quasi esclusivamente le donne, sono gli attacchi verbali (ingiurie), le molestie rappresentate dallo stalking che incidono di più sul genere femminile, perché una donna è più attaccabile sotto questi profili.
Dunque, la donna è vittima in un ambiente dove dovrebbe regnare l’amore, la stima, mentre l’uomo in uno maggiormente riconducibile a contesti di tipo delinquenziale, in cui vigono i rapporti di forza e di violenza. In altri termini, mentre è molto più plausibile che l’uomo, per le sue “frequentazioni”, sia oggetto di atti criminosi, ciò appare molto più difficile per la donna che sembra, invece, soprattutto vittima di una subcultura, ancora imperante e che in momenti di crisi si accentua, perché le difficoltà da attraversare, le frustrazioni devono trovare un capro espiatorio e quale migliore della donna, più indifesa e debole? Infine, un’ultima considerazione. Secondo una recente indagine Istat (2008-2009), non esiste una particolare differenziazione territoriale in merito all’incidenza con cui le donne tra i 14 e i 65 anni di età dichiarano di subire molestie sessuali o ricatti sessuali sul lavoro (Tabella 6).
E’ tuttavia nelle grandi regioni e soprattutto in quelle caratterizzate dalla presenza di grandi centri urbani che si assiste a una recrudescenza del fenomeno. Ciò è attribuibile a una minore esposizione delle donne al fenomeno (sono “più protette” familiarmente e socialmente e/o lavorano con meno frequenza che in altre regioni)? Oppure le donne stesse denunciano di meno, perché la loro cultura e quella dei luoghi in cui vivono ancora non lo permette? Domande a cui è difficile dare una risposta.
Sicuramente, però, possiamo affermare che, per superare questa strage di donne occorre che la nostra società nel suo complesso si attrezzi ed abbia una evoluzione sul piano culturale isolando quella parte del genere maschile che ancora considera la donna come un oggetto di proprietà e proponga modelli femminil che non riducano alle sole doti estetiche la ricchezza di una donna. Una società, del resto, che fino alla fine degli anni sessanta prevedeva una punizione del solo adulterio della moglie e non anche del marito, circostanza questa che, spesso, era visto come sufficiente movente per considerare un femminicidio un “delitto d’onore” e quindi sanzionabile con pene attenuate.
Primi ed importanti segnali di come la società stia progressivamente prendendo coscienza di questo fenomeno si possono cogliere nella prossima emanazione di un Protocollo d’azione predisposto dal Ministero della Salute destinato ai Pronto soccorso italiani, denominato “Codice rosa”, avente lo scopo di aiutare le donne vittime di violenza facendole sentire meno sole nel momento in cui probabilmente si è ancora in tempo per prevenire atti di femminicidio.
Alla redazione del presente Articolo ha collaborato Alessandro Benevento