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La felicità nel Venezuela del dopo-Chávez

Che cos’è la felicità? Ludwig Feuerbach, illuminato critico della filosofia hegeliana, rispose a questo ancestrale quesito affermando che la felicità (die Glückseligkeit) altro non è che l’essenza dell’essere. Al Bano e Romina Power – pensatori indubbiamente meno profondi, ma di Feuerbach certo molto più popolari – hanno canoramente affermato, in epoche a noi più prossime e con ben più ampia audience, che felicità è “tenersi per mano e andare lontano” (o, in alternativa, “un bicchiere di vino con un panino”). Per Nicolás Maduro, presidente venezuelano, metaforico figlio, apostolo ed erede di Hugo Chávez Frías, la felicità è invece, semplicemente, un dicastero. O, più esattamente, un vice-ministero: quello, per l’appunto, per la “suprema felicità sociale del popolo”, da lui creato per decreto, non più d’una decina di giorni or sono. E da lui poi molto orgogliosamente difeso – nel nome del pensiero del padre suo e di quello, più antico, di nonno Bolivar – dai frizzi e dai lazzi con i quali i media “sotto il diretto controllo dell’imperialismo e della borghesia parassitaria” hanno, nei giorni successivi, riportato la notizia.

Maduro – particolarmente offeso dal molto britannico humor d’un articolo pubblicato da Bbc-Mundo – ha, ovviamente, tutte le ragioni per sentirsi indignato. Affermare – come molti hanno sardonicamente fatto – che il governo chavista intende regolamentare (o, peggio, imporre) per decreto l’allegria del popolo, creando per questo un apposito dicastero, è una evidente e molto malevola forzatura. Il nuovo vice-ministero ha, come Maduro s’è premurato di spiegare, il compito di coordinare le attività delle cosiddette “misiones”, strumenti da Hugo Chávez a suo tempo creati– poco importa qui stabilire con quanto spirito assistenzial-paternalistico – proprio al fine d’elevare il benessere degli strati più poveri della popolazione. E definire tutto questo “felicità” è cosa certo inusuale, ma a suo modo poeticamente innovativa, un piacevole lampo di colore nel grigio profondo del tradizionale gergo politico-istituzional-burocratico. No. Quello che davvero rende sinistramente ridicola o, se si preferisce, orwellianamente grottesca la trovata di Maduro è, in effetti, non il sostantivo, ma l’aggettivo. Ovvero: il fatto che quella ricercata, coordinata e alimentata dal nuovo semi-dicastero, debba per forza di cose – o meglio, per forza di dogma – essere, non una qualunque felicità, ma una felicità “suprema”.

Perché “suprema”? Del tutto ovvia (e, per l’appunto, grottesca) è la risposta. La felicità sociale del popolo è suprema perché tale è la sua fonte. Più concretamente: perché proviene dal quel comandante Hugo Chávez che – come ormai impone la terminologia di Stato – non solo è “supremo”, ma è anche (e per antonomasia) “eterno”. Su questo Nicolás Maduro – che pure, evitando di definire “eterna” la suprema felicità popolare, ha dato, nella circostanza, un’inattesa prova di moderazione – è stato chiarissimo. Compito del nuovo vice-ministro, ha detto, è quello di “innalzare fino al cielo”, là dove può finalmente incontrarsi con il suo creatore, la felicità generata dalle “misiones“.

Non tutti concordano. Sostengono infatti i summenzionati “media sotto il diretto controllo dell’imperialismo e della borghesia parassitaria” (quelli che sono sopravvissuti a 15 anni di chavismo) che la tutt’altro che suprema felicità del popolo si misura oggi soprattutto in morti ammazzati (il Venezuela ha uno dei tassi d’omicidio più alti del mondo), in salari divorati da una inflazione ormai prossima al 50 per cento, e nei chilometri di code che – grazie all’affossamento di tutte le attività produttive, a un sistema cambiario demenziale e ad un altrettanto demenziale sistema di distribuzione – i venezuelani devono sorbirsi ogni giorno per acquistare (quando non mancano del tutto) essenziali generi di consumo (dalla farina, alla carta igienica). E riportano (sempre i media sotto il diretto controllo dell’imperialismo) come, a fronte di tutto questo, il figlio ed apostolo del comandante supremo ed eterno non sappia offrire, con penosa reiterazione, che la quotidiana denuncia, non solo di tentativi di “magnicidio” contro di lui orditi, ma di cosmici e plurimi complotti, di diaboliche macchinazioni e di sabotaggi economici, tutti scanditi dalle abissali perversioni di cui vanno ogni giorno macchiandosi i più in vista tra gli esponenti dell’opposizione (tre dei quali – Enrique Capriles, Maria Corina Machado e Leopoldo López, già sono stati bollati come “la trilogia del mal).

Il caso più surreale e, proprio per questo, più significativo: verso la fine d’agosto, come sempre in diretta televisiva, Maduro aveva rivelato come il governatore dello stato di Miranda, Enrique Capriles – l’uomo che quasi lo sconfisse nelle presidenziali di sette mesi fa – fosse in realtà alla testa d’una “rete di prostituzione omosessuale minorile” i cui peccati si consumavano, non in un qualunque bordello, ma negli stessi uffici del governatore. ‘Abbiamo – annunciò Maduro – schiaccianti prove fotografiche e le presenteremo quanto prima all’Assemblea Nazionale’. Non è, fin qui, accaduto nulla. E nulla – è fin troppo facile prevedere, accadrà in futuro. La storia è cominciata ed è finita lì, perduta nel gran calderone di denunce tanto apparentemente sconvolgenti, quanto, alla prova dei fatti, irrilevanti, improbabili e, nella loro ripetitività, sempre più tragicamente ridicole. Le prove non sono, né in questo né in altri casi, arrivate. Quelle che arrivano tutti i giorni (o quasi) sono, invece, le prove dei miracoli che il beatificato comandate va prevedibilmente compiendo.

L’ultimo: l’apparizione del suo volto – “lo sguardo eterno della patria”, come Maduro l’ha definito mostrando (sempre in diretta tv) le foto del prodigio – non in una grotta come la Vergine a Lourdes,ma sui muri del tunnel d’una linea di metropolitana in costruzione a CaracasIl giorno dopo, il ‘Chigüire Bipolar‘, una pagina satirica online (che Dio la conservi), ha fatto eco all’annuncio mostrando le immagini di un’altra apparizione del santo: la foto area d’una coda per il latte che, dipanandosi all’esterno di un supermercato, prendeva miracolosamente le forme del volto del comandante. Il tutto per una risata non eterna, forse, ma certo suprema. Suprema e – come tutti i miracoli – molto triste.