Tutti vogliono ridurre le tasse. Ma non si può farlo se non si riduce la spesa. Per poter chiedere sacrifici, bisogna tagliare i costi della politica. Per farlo, è necessario avere un’idea chiara di numeri e sprechi. Vediamo quali. Di Roberto Perotti* (Lavoce.info), 1 novembre 2013.
Tutti vogliono ridurre le tasse. Ma per farlo bisogna tagliare la spesa pubblica. Questo è politicamente difficile e, inutile nasconderselo, socialmente doloroso. Per questo, non si può chiedere sacrifici se non si dimostra prima la volontà di attaccare i privilegi ingiustificabili della politica e degli alti dirigenti pubblici. Semplicemente, cercare di tagliare la spesa pubblica senza dimostrare che “nessuno è esente” non funzionerà mai. Ma per farlo bisogna rispondere a due domande. Prima domanda: quanto “costa” la politica? Libri, giornali e blogs sono pieni di aneddoti, ma manca a tutt’oggi una stima sistematica e dettagliata dei costi della politica. Senza questa stima, non si può avere un’idea di quanto e dove tagliare. Seconda domanda: cosa costituisce uno stipendio o una spesa “ingiustificata”? Ovviamente nessuno sa con esattezza quale sia la “giusta” remunerazione di un deputato o di un giudice della Corte Costituzionale. Ma un buon indizio è fornito da un raffronto con altre democrazie. Una differenza del 10 per cento non preoccupa, una differenza del 100 per cento dovrebbe far riflettere.
La Commissione Giovannini. La Commissione Giovannini era stata nominata esattamente per fornire un confronto con gli altri paesi. Purtroppo essa ha rimesso il suo mandato senza averlo portato a termine. Questo è avvenuto in parte per buone ragioni. Il suo compito era assurdamente vasto: comportava per esempio un confronto delle remunerazioni nel consiglio della magistratura militare o nell’agenzia per la diffusione della tecnologia per l’innovazione con i loro omologhi (se esistono) in sei altri paesi europei. Il mandato era anche inevitabilmente mal definito: la remunerazione dei deputati, per esempio, è composta di tante voci, tra indennità e rimborsi spese, difficilmente confrontabili. In un paese un deputato viene rimborsato per i portaborse, in un altro gli viene assegnato un ufficio gratuito. Come confrontarli? Queste sono difficoltà oggettive. Ma la perfezione non è di questo mondo: a furia di perseguire una irraggiungibile perfezione, non si fa niente. E vi sono almeno due modi per risolvere il problema. Per confrontare le remunerazioni dei deputati, per esempio, ci si può chiedere: quanto mette in tasca un deputato, a vario titolo, indipendentemente dai rimborsi spese? E tra i rimborsi spese, quali sono forfettari (e quindi equivalenti a uno stipendio) e quali sono da giustificare? Per farlo, basta guardare alla legislazione vigente. Inoltre, i bilanci delle Camere dei vari paesi forniscono la spesa totale, disaggregata per tipo. Questo è un modo molto semplice ma infallibile per stabilire quanto spende il contribuente per fare funzionare la Camera.
Tre obiettivi. In una serie di articoli, utilizzerò questa metodologia con tre obiettivi. Primo, stimare la spesa complessiva della politica in Italia, distinta per enti (Camera, Senato, Quirinale, regioni, provincie, e tanti altri enti ed agenzie) e per tipo di spesa (emolumenti ai politici, spese per il personale, per pensioni, acquisto di beni e servizi etc.). Secondo, evidenziare le aree di privilegio “ingiustificabile” agli alti livelli del settore pubblico. Per esempio, come vedremo, gli stipendi e le pensioni dei giudici della Corte Costituzionale sono più che doppi di quelli dei loro omologhi britannici e statunitensi, a parità di impegno lavorativo. Terzo, mettere in luce quelle spese totalmente inutili e addirittura dannose che si nascondono in tanti sussidi pubblici, espliciti o impliciti. E’ bene essere chiari: anche ammesso che tutte queste spese siano effettivamente tagliate, non sarà sufficiente. Ma come vedremo, i risparmi possibili sono più di quanto molti pensino. E in ogni caso, senza tagliare queste spese è impensabile di poter tagliare le altre spese, macroeconomicamente più rilevanti.
Non è cambiato quasi niente. Uno studio preliminare della Commissione Giovannini e un altro della Camera nel 2011, oltre a vari altri documenti della Camera e del Senato, hanno sostenuto che la spesa per farla funzionare non è fuori linea con quella degli altri paesi occidentali. Inoltre, è diffusa la sensazione che gli interventi degli ultimi due anni abbiano avuto un effetto sostanziale sui costi della politica. Vedremo che entrambe queste convinzioni non hanno fondamento. Le spese per la politica in Italia sono assurdamente superiori a quelle di una democrazia funzionante come la Gran Bretagna, e le misure prese dai governi Berlusconi, Monti e Letta hanno avuto un’incidenza minima. In alcuni casi, anzi, la spesa è aumentata. Per esempio, nel 2013 la Camera spenderà quasi il 12 percento in più che nel 2012; ed in alcune regioni oggi i consiglieri regionali guadagnano di più, al netto delle tasse, di quanto percepivano prima dei limiti imposti dal governo Monti.
*Roberto Perotti ha conseguito il PhD in Economics al MIT nel 1991. Dopo 10 anni alla Columbia University di New York e due anni all’European University Institute di Firenze, dal 2001 e’ all’IGIER-Universita’ Bocconi e dal 2006 e’ ordinario presso la stessa universita’. E’ research associate del National Bureau of Economic Research e del Center for Economic Policy Research. E’ stato consulente del Fondo Monetario Internazionale, della Banca Mondiale, della Banca Interamericana per lo Sviluppo, della Banca Centrale Europea, della Fed, e della Banca d’Italia. E’ stato redattore de lavoce.info fino al 2012.