Nemmeno il genio di Pirandello avrebbe potuto partorire tanta stravaganza. Eppure è proprio dalla sua Sicilia che arriva Giuseppe Mignemi, il protagonista di una vicenda giudiziaria surreale, iniziata in primo grado circa cinque anni fa e su cui, il 30 ottobre scorso, la Cassazione ha messo la parola fine, respingendo il ricorso col quale chiedeva la divisione in due dell’isola. Motivo del rigetto? Questo anziano signore catanese, noto alle pendici dell’Etna per le sue idee secessioniste, ha fatto causa allo “Stato italiano” senza farsi rappresentare da un avvocato: condizione essenziale per stare in giudizio, come specificato dettagliatamente dalla Suprema Corte, nella sentenza.
Dunque, i siciliani possono tirare un sospiro di sollievo: l’integrità della loro terra è salva. Sì, perché Mignemi, quando nel 2008 si è presentato davanti al giudice di Pace di Catania, con ricorso scritto di suo pugno, ha citato in giudizio Prefetto e Regione siciliana, chiedendo, come si legge nella sentenza, “la condanna dello Stato italiano alla divisione della Sicilia in due zone: la Sicilia Orientale, indipendente e neutrale, e quella Occidentale, autonoma a statuto incompleto da sessant’anni per ostruzionismo e complotto politico del governo unitario accentrato a Roma”.
Mignemi, che nel ricorso al Giudice di Pace si autoproclama Capo provvisorio dello Stato Sovrano Orientale della Sicilia, chiede che la sentenza venga comunicata alle Nazioni Unite, in modo che da New York mandino un osservatore che lo possa coadiuvare per “organizzare le elezioni delle Camere e del Consiglio Federale” e per creare “una moneta siciliana, ritirando la Sicilia Orientale dall’Euro, e facendo affluire tutte le tasse dovute al nuovo Stato sovrano in una Tesoreria controllata preventivamente sulle spese necessarie ed urgenti, decise in via provvisoria da Mignemi”. Ma c’è di più. Da buon Capo di Stato, il ricorrente considera fondamentale la sovranità territoriale, e chiede dunque di sfrattare gli americani dalla base militare di Sigonella, in modo che l’aeroporto venga aperto “ai voli commerciali internazionali tra la Sicilia e gli Stati Uniti”.
Nel suo ricorso al giudice di Pace, Mignemi chiede anche la citazione in giudizio dell’ex governatore della Sicilia, e suo rivale, Raffaele Lombardo, l’ex premier Silvio Berlusconi, l’ex governatore della Banca d’Italia Ciampi, e niente poco di meno che il presidente degli Stati Uniti Barack Obama. Il giudice, per sfortuna di Mignemi, rigetta il ricorso per mancanza di “legitimatio ad causam dell’attore”. Che, da strenuo difensore di un progetto geopolitico rivoluzionario, non si arrende, e ricorre in appello, rivolgendosi al Tribunale di Catania. Ma anche in questo caso, il giudice non può che fermarsi al vizio procedurale già rilevato in primo grado, e cioè il “difetto di possibilità giuridica”.
Nella sentenza emessa il 5 agosto 2011, il magistrato Massimo Pulvirenti, dunque, respinge il ricorso e condanna Mignemi al pagamento di 1.000 euro di spese legali. L’aspirante capo di Stato non si arrende e nel 2012 ricorre in Cassazione, impugnando la sentenza d’appello: qui contesta l’impossibilità di presentarsi in giudizio senza difensore. Mignemi chiede addirittura di investire la Corte Costituzionale perché valuti l’incostituzionalità dell’articolo 82 del Codice di procedura civile, nella parte in cui non consente a un soggetto di stare in giudizio personalmente: rimostranze che il presidente Salvatore Di Palma respinge una per una, con un elenco dettagliato di sentenze e principi giuridici assodati e, soprattutto, costituzionali: una batosta per Mignemi e una grazia per il sistema giudiziario italiano, già ingolfato da alcuni milioni di cause che fanno dell’Italia uno dei paesi più litigiosi al mondo e in cui la durata media di un processo civile, tra primo grado e Cassazione, è di 8 anni, contro i quasi 3 dell’area Ocse.