“La Sardegna è una stronza”, ha osato scrivere, sul suo blog, Giuseppe Destefanis. Dando questo titolo al suo post di sfogo e disillusione. E in poche settimane quelle parole sono state cliccate da 42mila persone, commentate da un centinaio e rilanciata, sui social network, migliaia di volte. “Non mi aspettavo questo ‘successo’ – dice ora Giuseppe – ma va detto che bisogna essere sinceri. Forse siamo noi a essere stronzi, non la Sardegna, siamo noi che dobbiamo modificare il nostro carattere, prima di tutto”. Giuseppe ha 32 anni, è di Sedini, in provincia di Sassari, e ha studiato ingegneria informatica, viaggiando in mezzo mondo, nel suo cuore c’è ancora la Nuova Zelanda. Un “cervello in fuga” che è fuggito dalla sua Sardegna – considerata come nazione – e che ora vive fra Roma “e non so più dove. Forse nel giro di qualche mese partirò di nuovo, all’estero, perché questo Paese non ci valorizza”. 

“Continuo però a essere contrario alla definizione di ‘cervello in fuga’. È normale che chi fa ricerca debba girare il mondo”, dice. Diversi siti Internet che si occupano dell’emigrazione dei giovani italiani hanno ripreso il suo tormentato post sul blog. Ma il suo non era proprio uno sfogo sull’esigenza della fuga, quanto sul dover restare, vivi e presenti, insieme ai propri mille problemi. “La Sardegna è una stronza perché ti lascia sempre questa malinconia addosso ovunque tu vada – continua – e di una cosa dobbiamo renderci conto noi sardi: finché staremo lì, su quell’isola, non potremo mai esprimerci al massimo. La Sardegna è una donna apparentemente disponibile ma in realtà non disposta. E ora che il viaggiare per lavoro mi ha cambiato definitivamente lo posso dire: come sarei ora se fossi rimasto in Sardegna? Che cosa farei in quel mondo lento e farraginoso dove le cose non cambiano mai?”.

Il giovane Giuseppe decide, terminati gli studi superiori, di studiare ingegneria informatica all’Università di Pisa. “Dopo la laurea ho lavorato un po’ a Milano, ma la mia passione era sempre stata quella di insegnare, così sei anni fa decisi di rientrare a casa”, racconta. “Mio malgrado, perché era il periodo della contrazione delle cattedre e insegnare informatica ed elettronica alle scuole secondarie era diventato quasi impossibile. Così cominciai a lavorare come consulente, ma neanche allora ero contento. Provai allora a fare un dottorato di ricerca in ingegneria del software, a Cagliari, e questa volta mi andò bene. Un’esperienza bellissima – dice – che mi ha consentito anche di andare in Nuova Zelanda e a Hong Kong. Ora vorrei fare un post doc, ma sfortunatamente non vivo all’estero. Dove, anche a 28 o 29 anni, spesso si è già professori associati”.

Fino a quel suo post sul suo blog, condiviso più di 10mila volte da chi, come Giuseppe, si sente straniero in patria o troppo italiano all’estero. “Tanti dei miei commentatori sono sardi emigrati. Lo so, quel titolo può aver generato astio e incomprensione, e forse questo è un motivo del suo rimbalzare su Internet. Ma sono stato aiutato anche dall’averlo pubblicato in un periodo, la fine dell’estate, in cui di solito molta gente fa le valigie e se ne va. La Sardegna – conclude – è una terra che ha delle potenzialità enormi e noi sardi, quando viaggiamo, siamo talmente attaccati alle nostre rocce che ricerchiamo, in ogni Paese dove andiamo, qualcosa della nostra isola. Così ho fatto in Nuova Zelanda, così ho fatto persino a Hong Kong. Però ho sempre un’amarezza, quando penso alla Sardegna. Quello di bello che c’è, o almeno la maggior parte di esso, non ce lo siamo costruiti noi. Il mare, il sole, le spiagge, le montagne e ogni tesoro, tutto questo lo abbiamo ereditato. Lo abbiamo avuto in prestito, eppure spesso lo roviniamo. Con la politica, la mala politica, che ci mette del suo”.

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