“Il pericolo è grande. Ma contro questo pericolo non si risponde con una legge. Il terreno privilegiato è la scuola”. Lo ha detto Carlo Ginzburg, uno dei nostri storici migliori, e dei partecipanti più insospettabili di questo di dibattito (punire o no chi nega la Shoah?) in un’intervista a Repubblica dal titolo “Perché è un errore punire i negazionisti” (22 ottobre).

Due giorni dopo, nel blog di Piergiorgio Odifreddi (il celebre matematico-scrittore)ospitato e poi subito cancellato dal portale dello stesso giornale, si è potuto leggere: “Non entro nello specifico delle camere a gas perché su di esse so soltanto ciò che mi è stato fornito dal ‘ministero della propaganda’ alleato nel dopoguerra. (Notare lo sberleffo di “ministero della propaganda alleato”). E non avendo mai fatto ricerche in proposito e non essendo comunque, uno storico, non posso far altro che uniformarmi all’opinione comune. Ma almeno sono cosciente del fatto che di opinione si tratti”.

La frase, specialmente se scritta da un intellettuale e docente, è molto strana. Non essendo uno storico e non avendo mai fatto ricerche in proposito, come può Piergiorgio Odifreddi sapere e discutere del Risorgimento, del New Deal, della guerra italiana in Abissinia e di Cefalonia? Dipartimento “opinioni”?

L’affermazione è ancora più strana se scritta da un non incolto, che finge di non sapere che siano esistiti testimoni come Primo Levi e Liliana Segre (ancora viva e lucidissima, se Odifreddi volesse trasformare, da matematico, la sua opinione in fatto). E ha mancato di poco Shlomo Venezia che tuttavia ha narrato per tempo (il suo compito era rimuovere i corpi dalle camere a gas) e senza alcuna smentita, in un mondo, come si sa, poco incline anche adesso alla benevolenza quando parlate di Shoah. Fa notare queste cose, con la giusta indignazione, Mario Pirani nella sua rubrica “Linea di confine” (Repubblica 28 ottobre). Come si vede, in pochi giorni, non nel corteo nazista o tra i preti lefebvriani che hanno accudito la salma di Priebke, ma fra voci alte e colte, si è acceso all’istante un inconciliabile e profondo dibattito.

Il 2 novembre si è aggiunta la voce di Liliana Picciotto, storica e autrice dell’unico libro che lista, nome per nome e circostanza per circostanza, l’arresto e la deportazione degli ebrei italiani (quanti consegnati ai tedeschi da altri italiani) e l’indicazione di coloro che non sono mai più ritornati. E afferma, da storica: “Ci dicono che, abolendo ogni condanna, avremmo salvato la dignità del nostro sapere. Ma avremmo compromesso fortemente la nostra possibilità di indicare ai giovani che cosa sia il male da non ripetere mai più. Non so quale sia la formula giuridica per fermare i negazionisti. Mi rendo conto che una legge potrebbe essere inefficace. Eppure avrebbe un forte valore simbolico”. Credo che Liliana Picciotto porti in campo l’argomento giusto.

Fatalmente è imperfetto e inadeguato ogni strumento che si oppone a progetti di sterminio degli esseri umani o progetti che negano, dopo che quello sterminio sia mai avvenuto, perché non lo rimpiangono e perché, persino inconsapevolmente, non vedono dove sia lo scandalo. Dunque non resta che uno sbarramento istituzionale, alto e simbolico perché anche sulla marea, che sale e si espande, dell’antisemitismo, ci sia un faro acceso che indichi un punto irremovibile.

Faccio un esempio americano. Nel Paese del Ku Klux Klan e dei prolungati linciaggi dei neri, il Congresso americano, fin da prima delle leggi sui diritti civili, aveva dichiarato reato negare la liberazione degli schiavi come scopo della Guerra di Secessione (1868). Nel 1988 una studentessa che aveva esposto alla finestra della sua stanza, nel campus dell’Università di Harvard, la bandiera schiavista, è stata espulsa dal presidente di quella università, dopo che la studentessa aveva rifiutato di rimuovere il vessillo, che chiamava “la sua bandiera”. Non è stata accettata l’ipotesi dello scherzo o della bravata, sostenuto dai legali della famiglia (famosa per le donazioni a quella università). È stata dichiarata “inaccettabile, offensiva e pericolosa” la negazione di un episodio fondamentale della storia americana.

La sequenza è la stessa. Se non fosse legalmente condannata, la negazione della Shoah (che, dimostra l’esperienza, si trasforma subito in “denuncia dell’imbroglio”) seguirebbe (già accade) la negazione della legittimità dello Stato di Israele (benché tutti gli Stati che circondano Israele siano stati disegnati a tavolino dalle diplomazie inglesi e francesi e solo Israele e la Palestina, uguali e vicini, siano stati proclamati legalmente dall’Onu) e si griderebbe, neonazisti e sinistre insieme, che Israele se ne deve andare, perché fondato sulle false lacrime della Shoah.

Non dimentichiamo che tutto è cominciato, in Italia, con il pacco delle ignobili e incredibili “leggi sulla difesa della razza” (sic) che anche adesso, presso gli archivi della Camera e del Senato, sono a disposizione di chi non avesse avuto tempo di informarsi, come Odifreddi. Ora, a tanti decenni di distanza, mentre un liquame (che per gli sprovvisti di informazione e di opinione è certamente pericoloso) si sparge fra media, rete e persino fra persone che dovrebbero aiutare a far luce, non dovrebbe scandalizzare una legge-argine.

Non basterà ma è molto meglio del vuoto.

Il Fatto Quotidiano, 3 novembre 2013

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