Solo da qui, solo Pomì“. Un manifesto pubblicitario a tutta pagina: la figura dell’Italia stilizzata e l’immagine di un pomodoro al centro nord, tra Lombardia, Emilia Romagna, Piemonte e Veneto. E’ la campagna dell’industria di pomodori che nel pieno caos scatenato dalle rivelazioni sulla Terra dei Fuochi, zona di produzione delle altre conserve in Italia, cerca di smarcarsi e approfittare dell’onda di preoccupazioni che riguardano i prodotti provenienti dalle zone del sud. La campagna è firmata “In evidence“, agenzia che lavora anche per Eni, Alfa Romeo e Regione Lombardia. Ma l’effetto non è stato di quelli sperati e sul web si sono scatenate le polemiche: tanti i messaggi su Twitter e Facebook che hanno chiesto il boicottaggio dell’azienda, ricordando casi simili di campagne controproducenti come Barilla ed Enel.

Il primo ottobre è andato in onda un servizio de Le Iene per informare sulla situazione tra Acerra, Nola e Marigliano, il cosiddetto “Triangolo della morte”, dove si denunciava la presenza di coltura di ortaggi in terreni usati per discariche abusive e deposito di rifiuti tossici. Qualche giorno fa inoltre è stata desecretata l’audizione nella Commissione rifiuti del pentito Schiavone sullo smaltimento illecito di veleni nella Terra dei Fuochi. Tutti elementi che hanno portato alla decisione di Pomì di specificare la provenienza “nordica” delle loro materie prime.

“I recenti scandali di carattere etico/ambientale“, si giustifica l’industria sul sito internet e la pagina Facebook, “che coinvolgono produttori ed operatori nel mondo dell’industria conserviera stanno muovendo l’opinione pubblica, generando disorientamento nei consumatori verso questa categoria merceologica. Il Consorzio Casalasco del Pomodoro e il brand Pomì sono da sempre contrari e totalmente estranei a pratiche simili, privilegiando una comunicazione chiara e diretta con il consumatore. Per questo motivo l’azienda comunicherà sui principali quotidiani nazionali e locali, ribadendo i suoi valori e la sua posizione in questa vicenda”. Una campagna, dicono, giustificata da motivi etici e di responsabilità civile: “Si tratta di un atto dovuto non soltanto nei confronti dei consumatori, ma anche nel rispetto delle aziende agricole socie, del personale dipendente e di tuti gli stakeholders che da sempre collaborano per ottenere la massima qualità nel rispetto delle persone e dell’ambiente”.

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