E' quanto rileva uno studio dell'Istituto nazionale di urbanistica. Che analizzando tre casi di riqualificazione nella Capitale calcola il margine dei ricavi per i privati: in media sopra il 50%. Troppo bassi gli oneri di urbanizzazione, il Campidoglio si accontenta altre città no
Trasformazioni urbane, guadagni solo per i costruttori. Non è lo slogan di uno dei comitati che a Roma e nel Lazio si batte contro la cementificazione dell’Agro-romano, ma uno studio dell’Istituto nazionale di urbanistica. Che analizzando tre casi di riqualificazione nella Capitale calcola il margine dei ricavi per i privati: in media sopra il 50%. Così il plusvalore del Polo tecnologico della Tiburtina, rispetto a un costo di 326,6 milioni di euro, si attesta sui 447,8 milioni. Il motivo? Bassi oneri di urbanizzazione: se il Campidoglio si accontenta di 3-7 punti percentuali sul valore dell’opera, a Firenze si arriva a 480 euro al metro quadro. A Parigi sono 748, a Monaco di Baviera la quota è di un terzo sul costruito. E così “socialmente si scarica il finanziamento dei Comuni sulle famiglie attraverso l’Imu” rileva l’Istituto.
Il rapporto, commissionato dalla Provincia di Roma alla sezione regionale dell’Inu, è stato pubblicato lo scorso 28 ottobre. L’obiettivo è misurare la rendita fondiaria e immobiliare all’interno del grande raccordo. Con l’aiuto dell’università capitolina di Tor Vergata e il Politecnico di Milano, il gruppo di lavoro guidato da Daniel Modigliani ha certificato quello che in molti pensano: riqualificare le città è un affare per i palazzinari. Soprattutto nella Capitale. Sul banco degli imputati le opere, tra il 2000 e il 2007, sulla Tiburtina, alla Bufalotta e a Lunghezza.
Il guadagno è calcolato incrociando diversi coefficienti: dagli oneri di urbanizzazione al costo di produzione; dalle spese fideiussorie al valore dell’area, passando per l’ammodernamento dei quartieri e allacciamenti. Il risultato non cambia. Il margine di profitto, nel caso del Polo tecnologico, supera i 160 milioni di euro. Con un plusvalore, per il consorzio guidato dalla Camera di commercio, del 57,8%. Includendo la rendita agricola fra i costi, il dato sale a 130 punti percentuali. Lo stesso accade per i centri commerciali di Bufalotta e Lunghezza. Nel primo caso su una spesa di 666,4 milioni, il gruppo formato da Caltagirone e Santarelli realizza una plusvalenza di circa 100 milioni in più. L’utile è un quinto (19%) dell’opera realizzata, che in questo caso sfiora quota 1,5 miliardi. Il motivo? Una quota di tasse sull’infrastruttura realizzata che è del 6,2%. Mezzaroma, Caltagirone e Parnasi incassano un margine di utile del 19% e un plusvalore di 55 punti per il quartiere Ponte di Nona a Lunghezza.
In provincia di Roma la palma d’oro per il maggior tasso di plusvalore spetta al Print di Frascati con 243 punti. Più del doppio rispetto agli interventi di Monterotondo. Qui gli oneri non superano il 5%. Sono loro, secondo lo studio dell’Inu, a garantire il massimo profitto ai privati. In Italia vanno dai 98 euro al metro quadro di Bologna fino ai 480 di Firenze. Milano invece si attesta sui 244. Tutta qui la differenza con le altre città europee. Dai cugini transalpini la taxe d’aménagment supera i 700 euro nell’Ile de France. Fuori le tariffe calano, ma solo di 88 euro. Stesso discorso sugli introiti comunali che derivano dal valore del costruito: in Germania la quota si aggira sui 30 punti percentuali. Dati che fanno sfigurare il tetto massimo dell’8% nel capoluogo lombardo. Un punto sotto nella Capitale. Dietro l’Italia l’Africa, con un tasso pari a zero.
“Il nostro sistema è incredibilmente sbilanciato sul guadagno privato piuttosto che sul ritorno pubblico”, è l’analisi del presidente Modigliani. Quello che manca, secondo il numero uno dell’Inu Lazio, è il beneficio per la collettività: dai servizi alle infrastrutture. Un ‘do ut des‘ sbilanciato verso i costruttori. “Una situazione insostenibile“, certifica l’Istituto di urbanistica. “Socialmente – si legge nelle considerazioni finali – si scarica il finanziamento dei Comuni sulle famiglie attraverso l’Imu“. Già nel 1995 l’ente nazionale suggeriva di “finanziare la città pubblica attraverso i plusvalori creati dalla trasformazione urbana”. Entrate che farebbero comodo per chiudere i bilanci cittadini. Una risposta tax-free al patto di stabilità e ai tagli dei trasferimenti statali.