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Cuba: sesso, bugie e internet

Considerazione preliminare a proposito del post precedente, il primo a produrre un certo numero di commenti; tira più un pelo di chica che un carro di buoi. Vorremmo precisare che il nocciolo del post non era (non voleva essere) la prostituzione o il turismo sessuale, cose scontate e non certo esclusiva cubana.

Tra l’altro, il turismo sessuale in senso stretto ci è apparso molto più femminile che maschile; in particolare per le stradine di Trinidad e nella vicina spiaggia di Anchoa balzavano all’occhio le cinquanta-sessantenni mano nella mano con il loro toy-boy afrocubano con espressione tra l’estatico e lo stupefatto, lo stupore di chi scopre che ebbene sì, può esistere il sesso per il sesso, senza il passaporto dell’amore (cosa che i maschi, invece, sanno fin troppo bene).

Per quanto riguarda le giovani donne di Cuba, la questione è parsa più sottile e in definitiva politica; lo straniero visto come il Principe azzurro, come il salvatore che può dare una mano a una situazione materiale di profonda povertà e magari portarti via. E’ questa ricattabilità sentimentale, ben prima che sessuale, il vero dramma, l’imbarazzante verità da nascondere per un paese che deve fare i conti con tutti i limiti della sua rivoluzione.

Certo, non tutto è da buttare. A Cuba lo stato sociale funziona sui servizi essenziali, non abbiamo visto le sacche di degrado estremo presenti negli altri paesi del Sud e Centro America (incluso il tanto emergente Brasile), quando scende la notte non scattano le grate di ferro, le porte delle case non si sbarrano, ma si aprono e si respira un clima di fratellanza generale che contagia chiunque voglia farsi contagiare, per le strade si gioca a domino, a scacchi o a ping pong fino all’alba (foto3). 

Ma c’è il rovescio della medaglia, che colpisce soprattutto le giovani generazioni. Per la stragrande maggioranza della popolazione non esiste alcuna prospettiva di crescita e di costruzione di un futuro. Si nasce poveri, poverissimi, con 20 o se va di lusso 30 pesos convertibili di stipendio al mese, e con la certezza di rimanere poveri per tutta la vita. Le sole possibili alternative sono l’apparato, oppure, appunto, trovare un amico straniero. O un principe azzurro. Ecco perché tanti “ginecologi” hanno mano libera; ecco perché gli ultimi a parlar bene del castrismo sono quelli che a Cuba magari ci vengono a spese del sindacato, ma poi tornano a casa loro (proprio come succedeva con il blocco dell’Est prima della caduta del Muro); ed ecco perché una chica sorpresa anche solo a parlare con uno straniero viene subito fermata e identificata dalla polizia. Proibito prostituirsi. Ma soprattutto proibito innamorarsi.

Anche internet è una questione politica. Girano molte versioni ufficiali sul perché, nonostante le promesse, la banda larga non sia mai arrivata e la rete sia di difficilissimo accesso. Il cavo sottomarino che doveva arrivare da Miami sarebbe stato bloccato dagli americani; le fibre ottiche comprate a caro prezzo dal Venezuela si sarebbero rivelate inservibili, con conseguente scandalo e accuse di corruzione verso alcuni funzionari cubani. Dobbiamo crederci, nel 2013? Ecco quello che abbiamo verificato con i nostri occhi. All’Avana vecchia c’è un solo posto pubblico dove si fa la fila per ottenere una targhetta di navigazione; 4,5 pesos convertibili per un’ora. In un paese in cui gli stipendi sono di 20 pesos, è fatale che quella coda la facciano solo i turisti, o i cubani che con i turisti trafficano in un modo o nell’altro. Molti siti (Skype, per fare l’esempio più eclatante) sono comunque oscurati.
La posta elettronica è controllata (e noi stessi ne abbiamo subito le conseguenze). Nelle case private la connessione analogica, lentissima e controllatissima, è consentita solo ai cittadini esteri residenti permanenti o per comprovati motivi di studio (altrimenti si può avere solo la posta elettronica) e se anche fosse consentita, difficilmente potrebbero permettersela visto che si fatica a permettersi un cellulare. Qui si paga il roaming anche sulle chiamate provenienti da Cuba, per non parlare di quelle provenienti dall’estero. Il wi-fi ufficialmente non esiste; però negli alberghi di extralusso, quelli da 4-500 dollari a notte, quelli in cui i cubani non possono nemmeno mettere piede perché un altro cubano in livrea è pronto a cacciarli, il wi-fi c’è, e funziona perfettamente.

E allora? Gli americani hanno portato le fibre ottiche solo lì e le altre se le sono tenute a Miami?

Più che comunismo, sembra classismo realizzato in terra. La verità è che non esiste alcuna volontà politica di portare Internet a Cuba, perché la rete rappresenta la paura maggiore di questo regime, che poi è quella di tutti i regimi: aprirsi al mondo, dover mostrare che il re non è poi così elegantemente vestito, anzi, è piuttosto nudo. Qualcosa cambierà dopo Raul? Secondo i più ottimisti sì, ma a piccolissimi passi, e dando nell’occhio il meno possibile. “Sai”, ci ha detto un giovane biologo dell’Avana, “il problema è che questo è un paese comunista. In teoria sono tutti felici. Per questo cambiare è così difficile”.

(20-continua)