Il ferrarese Gianluca Merchiori, ex politico diventato broker, è stato condannato in secondo grado per raccolta abusiva di credito e appropriazione indebita aggravata. La Corte d’Appello di Bologna ha inflitto a lui e al coimputato, Gerardo Carpentiero, accusato di favoreggiamento, pene inferiori rispetto a quelle uscite il 4 giugno 2009 dal tribunale di Ferrara. Dai 5 anni e 4 mesi del primo grado la pena scende a 4 anni (da 6 a 4 mesi per Carpentiero), in considerazione della prescrizione intervenuta per alcuni capi di imputazione (per i reati consumati tra il 2002 e il 2006). Il caso fece scalpore qualche anno fa per il rocambolesco modo di far perdere le proprie tracce dopo aver lasciato sul lastrico amici e parenti, inclusa l’ex fidanzata.
Merchiori, all’epoca tecnico di laboratorio in un istituto tecnico, era noto in città per il suo passato di politico. Con Rifondazione comunista era stato eletto in consiglio comunale. Fece un’intera legislatura, quella dal ’95 al ’99, per poi essere riconfermato in quella successiva come capogruppo, fino a quando nel 2000 entra in collisione con la linea del partito e abbandona l’incarico. Si ripresenta nel 2004 per candidarsi contro il sindaco Ds Gaetano Sateriale con al lista “Via Ferrara – Ferrara Viva”, provocando però un ricorso del suo ex partito a causa dell’utilizzo della falce e martello. In quegli anni che inizia a cimentarsi con la professione di broker. Tuttavia, non è mai risultato iscritto all’albo degli intermediari finanziari. Eppure, grazie a una rete di contatti e amicizie ereditata dai tempi dell’impegno politico, ha convinto una trentina di persone (17 delle quali si costituiranno parte civile) ad affidargli i propri risparmi, con la promessa di guadagni con interessi al 4%.
I soldi venivano fatti girare attraverso la filiale Carife di Pontegradella, presieduta da Carpentiero. All’inizio gli investimenti erano stati anche fruttuosi, poi la borsa non girò come sperato. I guadagni cominciarono a diminuire e Merchiori si ritrovò nella condizione di dover soddisfare decine di promesse irrealizzabili. Iniziò così a usare con gli amici più abbienti la scusa della “grave malattia” della moglie – in realtà in perfetta salute tra le Alpi austriache -, che secondo Merchiori necessitava di dispendiose cure possibili solo oltreoceano. Ai debiti “professionali” cominciarono quindi a sommarsi anche quelli privati, con versamenti di decine di migliaia di euro da parte di conoscenti (tra cui diversi politici di entrambi gli schieramenti), parenti e colleghi che mai gli avrebbero negato aiuto in un momento di difficoltà.
Ma non bastavano. Così arrivò il crac, seguito dalla ‘fuga’ che lasciò nella disperazione i creditori. Alla fine il buco quantificato dalla procura estense sarà di un miliardo e mezzo di euro. In Appello l’accusa ha chiesto l’assoluzione per l’ex direttore di filiale, sposando al tesi difensiva che lo voleva anch’egli parte del gruppo di vittime di Merchiori. Tesi che non ha convinto il collegio presieduto dal giudice Daniela Magagnoli, che ha confermato la condanna per gli imputati. Ora, con la conferma del dolo di Carpentiero, si apre uno spiraglio in più per le parti civili: “Questa valutazione – afferma il loro legale Alberto Mario Campili – potrebbe risultare decisiva nell’ottica di una causa civile verso la banca. Ora con ogni probabilità partiremo con un’azione per ottenere i risarcimenti per i risparmiatori, e quindi con una causa civile verso Carife”.