Il 28 giugno azienda e sindacati avevano firmato un accordo che prevedeva una "selezione pubblica". Che non è mai stata indetta, mentre sono entrati in azienda 35 studenti della Scuola di Perugia. Gli allievi degli altri istituti protestano e nasce un gruppo su Facebook
Non c’è pace per la Rai. Mentre serpeggia l’ipotesi della privatizzazione, e il direttore generale Gubitosi è ascoltato dai magistrati per i “turni fantasma” al Tg1, gli studenti delle scuole di giornalismo chiedono notizie del concorso Rai pubblico, di cui ad oggi si sono perse le tracce. Il 28 giugno, infatti, Rai e Usigrai (Unione sindacale dei giornalisti Rai) avevano siglato un accordo sul “personale giornalistico”. In base all’intesa, 35 “nuove risorse” dovevano essere reclutate dalle “scuole di giornalismo”, e altre 40 tra i giornalisti interni all’azienda, ma “utilizzati con altra qualifica o forma contrattuale”. Infine, all’articolo 2 era scritto: “L’Azienda avvierà entro settembre un’iniziativa di selezione pubblica per future esigenze di nuovo personale giornalistico”. Siamo a novembre, e del concorso non si sa assolutamente nulla.
Al contrario, per le trentacinque “nuove risorse” si è proceduto a tempo di record: già ad agosto erano state individuate tra gli ex allievi della Scuola di Perugia, chiamati direttamente a lavorare in Rai senza alcuna selezione. Una procedura che ha provocato la rabbia delle altre scuole: studenti e neo-giornalisti discriminati si sono costituiti nel gruppo “Come loro”, e hanno scritto una lettera a Rai, Ordine dei giornalisti, Usigrai e Federazione nazionale della stampa, chiedendo “che le assunzioni avvengano solo per concorso”. Da allora, l’appello è stato sottoscritto da 175 persone, ed è arrivato sulla scrivania del Presidente della Commissione di vigilanza Rai, Roberto Fico.
Durante la recente audizione sul contratto di servizio (in ritardo di 16 mesi), Fico ha chiesto a Gubitosi sia dei famosi trentacinque sia della scuola di Perugia, assimilabile secondo molti a una scuola “aziendale” della Rai. Se fosse considerata tale perderebbe il riconoscimento dell’Ordine dei giornalisti, con conseguente chiusura dei contratti di praticantato. Gubitosi si è difeso, rispondendo che non esiste alcuna definizione precisa di “scuola aziendale”: «Di certo Perugia è la scuola con cui la Rai ha più rapporti […]. Non sarà più solo una scuola per giornalisti, ma anche una scuola permanente di formazione». In ogni caso, il dg Rai non ha mai risposto all’appello dei 175. Non solo: il gruppo Facebook “Come loro” è stato oscurato due volte, dietro denuncia di chissà chi. «Sulla vicenda dei trentacinque c’è un’omertà incredibile. Vittorio Di Trapani [segretario Usigrai, ndr] non ha risposto né sulle chiamate da Perugia, né sul concorso fantasma. Si è limitato a scrivere su Twitter che siamo una sigla che non rivela chi gestisce i profili sui social network, e di conseguenza non meritiamo considerazione».
Unica voce a sostegno dei neo-professionisti è Enzo Iacopino, segretario dell’Odg: «Formalmente Gubitosi può avere ragione, perché non c’è una definizione di scuola aziendale. Se le trentacinque nuove risorse, però, arrivano tutte da Perugia, allora vuol dire che la Rai considera l’istituto una sua proprietà. Tutte le scuole seguono gli stessi programmi, perché li prepariamo noi e sono tutti contenuti nel quadro di indirizzi. In base a quali criteri, quindi, hanno chiamato direttamente solo da Perugia? Io non ho ancora ricevuto risposta».
In realtà, il rapporto tra Rai e Perugia è sempre stato privilegiato. Negli anni sono stati assunti anche allievi di altre scuole, ma Villa Bonucci (questo è il nome della sede, fuori dal capoluogo umbro) ha delle percentuali altissime: secondo i dati forniti all’Ordine dall’Associazione giornalisti Scuola di Perugia, che raggruppa gli ex allievi, dalla fondazione al 2008 l’81 per cento degli ex allievi ha trovato lavoro in Rai; di questi, il 61 a tempo determinato e il 39 a tempo indeterminato. Niente male, se si considera che la Rai è piena di giornalisti precari, assunti da vent’anni con contratti da programmista o da regista a 1300 euro al mese. Si tratta di professionisti dei più noti programmi di informazione: da Porta a Porta a Ballarò. Per loro l’unica speranza di assunzione giornalistica è il concorso, arrivato puntualmente anche quest’anno.
Come previsto, in questi giorni si sono svolte le selezioni per stabilizzare 40 risorse interne. Alla prima prova (un quiz di 40 domande) si sono presentati in 196. Il punteggio minimo da superare era 15, ma dato che alla seconda prova sarebbero stati ammessi solo 100 candidati, molti punteggi superiori sono stati scartati. E non sono mancate le polemiche e le minacce di ricorso. Alcune domande erano formulate male, altre destavano più di una perplessità: «Sembrava di giocare a Trivial Pursuit», sorride una candidata. «Io ho superato i 20 punti, ma sono rimasto fuori. E dire che lavoro in Rai come giornalista da vent’anni, con un contratto da programmista a 1200 euro», racconta uno dei non-ammessi. «È uno scandalo. Per non parlare dei consulenti esterni: ci sono trasmissioni in cui, anziché utilizzare le risorse interne, si preferisce chiamare amici o parenti come “nobili esperti di”».
Di qui l’importanza del concorso pubblico. «Il bando uscirà entro dicembre», assicura Iacopino. «Abbiamo ipotizzato 10mila partecipanti: alla fine si dovrebbe creare una graduatoria aperta di 500 giornalisti, cui la Rai potrà attingere anche in futuro». Il problema è che la tv di Stato ha personale giornalistico con un’età media molto alta, e nei mesi scorsi molti professionisti sono stati incentivati ad andare via. Di qui alle “chiamate dirette”, però, ce ne corre: «Non esistono giustificazioni: la procedura concorsuale non si può saltare», spiega l’avvocato Alberto Guariso, esperto di lavoro nel settore pubblico; «Chiamare trentacinque giornalisti direttamente da una scuola, per quanto l’accesso ad essa sia avvenuto dietro selezione, è assolutamente anomalo». Certo, i trentacinque potrebbero essere stati chiamati con contratti a progetto o di altro tipo; in ogni caso, aver avuto il privilegio di una “prima utilizzazione” darebbe loro dei punti in più nell’eventuale “concorsone”. «Nessuno dice niente perché inimicarsi la Rai non è di buon auspicio», ripete uno dei neo-professionisti di Come loro. «Ma anche noi abbiamo paura, cosa credete?».