L’ictus non risparmia i giovani, neanche i 18enni. Fra gli under 45 si registrano annualmente 10-15 casi ogni 100 mila abitanti. Circa il 15% di tutti gli ictus colpisce soggetti in età giovanile.
“Questi episodi sono in aumento proprio in questa fascia d’età. Da fine anni ’90 al 2005 è stato registrato all’incirca un +10-15%, mentre risultano in diminuzione fra gli anziani” spiega Alessandro Pezzini, ricercatore in neurologia all’Università degli Studi di Brescia e coordinatore del progetto Ipsys (Italian project on stroke in young adults) a margine del 44esimo Congresso della Società italiana di neurologia (Sin).
Una delle ipotesi per la tendenza all’aumento di ischemie cerebrali fra i giovani, “è la presenza di fattori di rischio emergenti, nuovi. In particolare – sottolinea Pezzini – una delle ipotesi è che possa esserci un collegamento, fra le altre cose, con l’abuso di sostanze stupefacenti“.
Il progetto Ipsys, coordinato dalla Clinica neurologica dell’università di Brescia, ha reclutato 1.867 soggetti colpiti da primo ictus cerebrale ischemico tra i 18 e i 45 anni, nel periodo compreso fra il 2000 e il 2012, seguiti successivamente per un follow up medio di circa 46 mesi. Durante questo periodo sono stati documentati 163 eventi ricorrenti, pari a un rischio cumulativo del 14,7% a 10 anni dall’evento indice (14% per ischemia cerebrale, 0,7% per infarto miocardico e/o altro evento trombotico). Il registro Ipsys costituisce ad oggi la più ampia serie di pazienti colpiti da primo ictus cerebrale tra i 18 e i 45 anni disponibile in letteratura scientifica. Gli scienziati hanno identificato i fattori in grado di aumentare il rischio di sviluppare nuovi eventi trombotici dopo un primo ictus ischemico, e hanno attribuito a ciascun fattore un punteggio per ottenere uno score in grado di quantificare il rischio.
Tra gli altri fattori che aumentano il rischio di ictus, spiega Pezzini “c’è la presenza di emicrania con aura, l’essere portatore di anticorpi anti-fosfolipidi e l’interruzione della terapia di prevenzione secondaria (con antiaggreganti piastrinici e/o antipertensivi) dopo l’evento”. Su quest’ultimo punto gli scienziati hanno rilevato che il 30% circa degli under 45 decide di interrompere la terapia antiaggregante. E’ uno dei primi dati su questa fascia d’età, visto che le ricerche sono generalmente centrate sugli anziani.