La crisi economica si aggrava ulteriormente, nonostante le “luci in fondo ai tunnel” che non illuminano alcuna ripresa, il governo delle larghe intese procede sempre più a fatica, senza una vera ragione fondamentale che non sia, l’ormai del tutto inadeguata osservanza dei diktat della Trojka.

In questo quadro incerto e veramente preoccupante, le vicende degli scandali per “spese pazze” del consiglio regionale dell’Emilia Romagna, risuonano come una sinfonia stonata, contribuendo a incupire un clima certamente già poco sereno.

Di là dalle responsabilità individuali o dei gruppi, sul piano legale e su quello politico, penso debba essere posto l’accento sull’irrazionalità, ancora perdurante, all’interno della pubblica amministrazione, sia essa la Regione o qualsiasi altro ente o istituzione, del sistema di gestione dei conti che non dimentichiamolo sono pubblici, perché riguardano risorse dei cittadini e dei soggetti giuridici, almeno di quelli, che pagano le tasse.

Non sarebbe mai stato ammissibile e non lo è a maggior ragione oggi, che la logica di spesa debba procedere senza l’applicazione di criteri di misura e sobrietà e senza sistemi di controllo a monte e a posteriori adeguati. E non si tratta solo delle spese dei gruppi politici, che dovrebbero più di altre, essere controllate.

L’intero sistema pubblico non persegue i principi di sana amministrazione di diligenza “da buon padre di famiglia” che recitano i testi di diritto come stile principe; c’è un’impostazione dei bilanci pubblici rivolta comunque ad esaltare la spesa, sia essa corrente (quella più sotto accusa) sia  e soprattutto quella per investimenti che gli amministratori prediligono, perché a parer loro qualifica il governo.

L’esperienza personale mi ha portato a osservare come lo stesso concetto di controllo della spesa non è introiettato all’interno della pubblica amministrazione, se non a posteriori, mai come obiettivo qualificante, si predispongono budget annuali in cui si stabiliscono obiettivi programmatici e tetti di spesa, ma non si commisurano gli uni agli altri, e non c’è una cultura di valutazione della congruità di ponderazione delle diverse poste di bilancio, ogni capitolo vive per conto suo e si sviluppa indipendentemente dagli altri.

Faccio un esempio, mi racconta una persona che lavora per un ente, non dico quale per riservatezza, che, avendo prodotto per la preparazione del bilancio preventivo, relativo alla gestione del proprio servizio, un efficace obiettivo di risparmio, l’ha sottoposto al diretto superiore che dopo aver apprezzato il lavoro, di cesello, ha disposto di accantonare la proposta “per non correre il rischio” di perdere una quota del bilancio che annualmente è assegnato al settore.

E’ indicativo questo comportamento della contraddittorietà e dell’irrilevanza dei valori effettivi di buona gestione anche nello stesso apparato tecnico, in altre parole non m’importa che l’ente risparmi, m’interessa di mantenere il mio livello di spesa, forse questo da più tranquillità ma non è di buon esempio!

In questo contesto la classe politica che dovrebbe orientare e dirigere le politiche e le strategie, diciamo la verità, il più delle volte è perfino estranea a queste tematiche, qui il discorso potrebbe prendere una brutta piega, il fatto è che non c’è una cultura sufficiente per amministrare soprattutto in condizioni di difficoltà crescenti.

Molti di coloro che hanno incarichi istituzionali, certo non indiscriminatamente, si limitano a partecipare con il voto e poco più, ne è richiesto un impegno approfondito, la gestione effettiva è nelle mani degli esecutivi, quindi si stabilisce una delega su tutto e la merce di scambio di questa estraneità è il laissez-faire. Come si può affrontare una grave crisi come quella che stiamo subendo se non ci sono la volontà e la capacità vera di operare quelle trasformazioni di cui il nostro macero sistema istituzionale ha urgentemente bisogno?

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