Regole definite “fuffa”, metodo di voto da “Stato di polizia”, epurazioni, tessere stracciate e nomine calate dall'alto: nel Carroccio esplode un nuovo conflitto. Che si annuncia più dirompente di quello tra Maroni e Bossi. Perché adesso il partito è senza guida. Riunioni carbonare tra Bergamo e Varese dove gli ex fedelissimi di Bobo stanno tramando per affossare il suo candidato Matteo Salvini
“Bossi rappresenta la storia della Lega”. Maroni prova a dire la sua. Ma il fu barbaro sognante non ha più seguito nel partito. Manca poco più di un mese al congresso del Carroccio, che si celebrerà il 14 e 15 dicembre, ma la candidatura ufficializzata ieri dal vecchio Senatùr, per quanto annunciata, ha risvegliato lo scontro mai sopito nel partito. Con un fronte nuovo: molti degli ex fedelissimi di Maroni, che ne hanno sostenuto e guidato l’ascesa in via Bellerio, hanno preso le distanze dall’ex ministro, delusi dalla gestione sia del partito (affidato nelle mani della portavoce Isabella Votino da Montesarchio) sia della Regione Lombardia, in cui consulenze e nomine sono state affidate e distribuite secondo logiche non condivise da tutti.
Lo scontro si consumerà al congresso di dicembre convocato per eleggere il nuovo segretario al posto di Maroni. I candidati sono di fatto a oggi quattro: Bossi, Matteo Salvini, Gianluca Pini e Manes Bernardini. Sul nome di quest’ultimo, giovane consigliere del Carroccio in Emilia, si stanno concentrando le attenzioni (e le forze) degli ex maroniani che potrebbero ora convogliare su Pini. Il vice capogruppo alla Camera ha sciolte le riserve solo ieri. E di certo non è “il nostro Renzi” di cui Maroni ha detto di aspettare l’arrivo. Non lo è neanche Salvini, che fino a pochi giorni fa sembrava destinato a guidare via Bellerio, ora appare a molti come lo sconfitto certo. Ed è forse un bene perché cosa c’è ancora da rottamare nella Lega?
Misteri padani. “Serve gente seria e preparata, il giro di boa vero per noi saranno le elezioni europee: lì si vedrà se la Lega è morta e sepolta o se invece può riprendere un cammino costruttivo per il Nord, per questo non possiamo lasciare nulla al caso e siamo pronti a correggere gli errori commessi”. Un colonnello storico di Maroni sintetizza così la situazione. “Ci sono problemi tra lombardi e veneti per beghe mai risolte, così abbiamo deciso di puntare su un giovane emiliano, bravo, preparato, capace e soprattutto disponibile a confrontarsi”, confida.
Che Maroni abbia contezza dei malumori è evidente dalle regole stabilite per il congresso. Dopo aver stilato il nuovo statuto che relega Bossi ai margini; effettuato massicce epurazioni; gestito le liste elettorali (per il Parlamento e per la Regione Lombardia) con soli fedelissimi (di Maroni e dei suoi colonnelli) ora anche le regole del congresso sembrano create ad hoc per tutelare le posizioni di potere conquistate. E tentare di far vincere il presunto giovane Salvini, delfino dell’ex ministro dell’Interno. Non solo i militanti ma anche alcuni dei vertici definiscono il regolamento come “fuffa, regole da Stato di Polizia”.
L’articolo più contestato è quello relativo alla presentazione delle candidature. Chi vuole diventare segretario, infatti, deve presentare tra le 1000 e le 1500 sottoscrizioni alla propria mozione. Ma, cosa mai vista in nessun partito politico, non è il singolo candidato che raccoglie le firme e le consegna alla segreteria federale ma chi vuole sostenerlo deve presentarsi alla segreteria provinciale e dichiarare chi vuole votare. “Vogliono schedarci tutti”, è la critica più diffusa dei bossiani e anche di molti ex maroniani che delusi, come detto, hanno intenzione di evitare l’ascesa di Salvini.
In pratica una sorta di voto palese, prima ancora del congresso. Congresso che fra l’altro, sempre stando al regolamento, appare totalmente inutile. Per due motivi: perché il 7 dicembre ci saranno le primarie per decidere il candidato unico e perché la due giorni al Lingotto di Torino servirà esclusivamente a nominarlo. Senza neanche un minimo di dibattito o confronto. Recita infatti il regolamento che “tutti i militanti in regola con il tesseramento 2013 parteciperanno senza diritto di voto né di parola”.
Infine molti criticano anche le modalità dello scrutinio delle primarie: tutti i militanti il 7 dicembre voteranno il proprio candidato ma lo spoglio non avverrà nelle singole sezioni perché le urne saranno portate nel fortino di via Bellerio, dove rimarranno custodite per una settimana e da qui portate al Lingotto di Torino dove saranno aperte. Alla faccia della trasparenza tanto sbandierata da Maroni.
Lontano dal quartier generale padano i militanti hanno cominciato a stracciare le tessere. A Mantova, per dire, sono state chiuse numerose sezioni per protesta contro i presunti brogli nell’elezione del segretario provinciale Cedrik Pasetti, ritenuto vicino all’assessore regionale Gianni Fava.
Nel veronese, le indagini che hanno recentemente sfiorato Flavio Tosi, hanno risvegliato i bossiani che stanno organizzando una manifestazione per il 13 novembre davanti al Comune. E ancora: in Lombardia, lungo l’asse Bergamo-Milano-Varese, ogni giorno ci sono incontri quasi carbonari, cui partecipano con frequenza sia assessori regionali sia componenti della segreteria federale del Carroccio, per sostenere Bernardini solo per affondare Salvini. Una fronda che si è già palesata la settimana scorsa quando, insieme a Daniele Belotti, molti hanno costretto Maroni ad aumentare il numero di sezioni in cui votare per le primarie.
Sono lunedì prossimo si saprà chi correrà per la segreteria. Al momento solamente Bossi ha ufficializzato la sua candidatura. Ieri si è aggiunto anche Pini, mentre altri parlamentari da settimane tentato di convincere Giancarlo Giorgetti a presentarsi. Già segretario nazionale, braccio destro del Senatùr, capogruppo alla Camera, saggio tra i saggi di Giorgio Napolitano, Giorgetti è indicato da molti come l’uomo ideale per far ripartire la Lega. O almeno tentare, sempre che possa esserci un’altra occasione.