Pomì-pubblicitàSembrerebbe tutto un problema di comunicazione, di scorrettezza, di nord contro sud-Italia. Ma la presa di posizione di una nota azienda italiana di conserve alimentari, il Consorzio Casalasco del Pomodoro e il relativo brand Pomì, con la dichiarazione sulla provenienza certificata dei suoi prodotti tutti dal nord-Italia, risponde ad altre esigenze. Di fatto fornisce una risposta ad un consumatore che oggi più che mai necessita di informazione.

Partiamo dalla notizia, ampiamente documentata anche sul Fatto Quotidiano: il brand Pomì ieri l’altro ha lanciato una campagna firmata dall’agenzia di comunicazione “In Evidence” che mostra come i propri prodotti provengano da una filiera controllata del nord-Italia. Il tutto condito con uno slogan che ad alcuni è suonato politicamente scorretto, ma che in fondo ha centrato l’obiettivo comunicativo: “Solo da qui, solo Pomì”. Per molti la campagna è da leggere come risposta alla situazione nel sud-Italia e nello specifico di quell’area ribattezzata “Terra dei fuochi” e che sta sempre di più drammaticamente estendendo il suo perimetro. Sta di fatto che la campagna ha scatenato la reazione (anche politica) di molti. Così l’assessore campano all’agricoltura Daniela Nugnes: “Non si può accettare che ci siano interventi in danno alle imprese agricole e alla Campania da parte della distribuzione nazionale per scelte che sembrano non supportate da dati scientifici e che mi auguro non siano motivate da mera speculazione.

Alle prime avvisaglie polemiche in rete l’azienda ha diffuso prontamente un comunicato: “I recenti scandali di carattere etico/ambientale che coinvolgono produttori ed operatori nel mondo dell’industria conserviera stanno muovendo l’opinione pubblica, generando disorientamento nei consumatori verso questa categoria merceologica. Il Consorzio Casalasco del Pomodoro e il brand Pomì sono da sempre contrari e totalmente estranei a pratiche simili, privilegiando una comunicazione chiara e diretta con il consumatore”.

In qualche modo l’azienda ha riposto al disorientamento dei consumatori, sempre più di fatto inseriti in una contesto informativo che necessita di aggiornamenti costanti, soprattutto quando si ha a che fare con l’alimentazione. E così le preoccupazioni diffuse in questa fase più matura dell’acquisto alimentare hanno generato questa risposta aziendale.

E allora, mi chiedo e vi chiedo: perché criticare tale presa di posizione, addirittura tacciandola di “razzismo industriale” (Repubblica, 04/11)? Il brand ha tranquillizzato la base clienti, l’ha informata, ha risposto all’esigenza diffusa di chiarimento e di informazione. Oggi più che mai far comprendere la provenienza delle materiale prime e la filiera di produzione è un obbligo da parte delle realtà d’eccellenza. Solo così si tutelano i consumatori, e in fondo anche i lavoratori delle stesse imprese che operano nel settore. Il tutto, lo scrivo a scanso di equivoci, al netto della vicinanza umana per le popolazioni che più direttamente stanno di fatto vivendo la vicenda della Terra dei fuochi, e la stanno combattendo in prima persona. Però l’idea di una solidarietà industriale che in qualche modo doveva manifestare Pomì stride con la nuova concezione del consumatore informato e digitalizzato.

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