Bill De Blasio, da ieri, è il nuovo sindaco ‘eletto’ della città di New York. Il primo democratico, dopo vent’anni, nella città più democratica degli Stati Uniti che, però, dimostra sempre di avere carattere e di seguire il cuore o quelle che qui chiamano ‘guts’, le ‘viscere’. Il gigante di Brooklyn, come solo in America può succedere, è riuscito, contro ogni previsione, a sbaragliare una nutrita schiera di compagni di partito, più quotati di lui, e a vincere, anzi stravincere, un’elezione parlando soprattutto ai dimenticati, agli ‘ultimi’, a quelli ‘rimasti indietro’ ai quali ha promesso, in apertura del suo discorso dopo i risultati, che le cose ora cambieranno.
In America, De Blasio, è considerato un ‘comunista’ perché vuole ‘togliere’ ai più ricchi per aiutare la classe media, i poveri, sostenere la scuola pubblica e rendere la città di Wall Street più solidale. Solo all’estero ci si può meravigliare di questo. Non qui. Qui la storia cambia e va avanti proprio perché, alla fine, non ci si spaventa dei De Blasio. O degli Obama.
Con l’elezione di Bill, si chiude l’era Bloomberg. Personalmente, un uomo che considero un ottimo sindaco. Un filantropo, colto, perbene, arrogante il giusto che ha saputo gestire il post 11 settembre e tenere a galla la città, senza grossi scossoni, durante i giorni cupi della crisi del 2007, la più profonda dalla Grande Depressione. Michael Bloomberg per 12 anni ha lavorato percependo uno stipendio di UN dollaro all’anno (per sua scelta) e più volte è intervenuto, con fondi personali, a risanare i ‘buchi’ lasciati da tagli ai servizi sociali. De Blasio può fare bene e, l’amore che provo per questa città, mi fa sperare che lo faccia. Michael Bloomberg, tuttavia, avrà segnato un’epoca.
Da giorni, ed oggi di più ovviamente, gli italiani in Italia, fanno a gara per rivendicare legami con il nuovo sindaco e per esprimere il proprio orgoglio nazionale per quel pezzetto di tricolore che – non per la prima volta – sventolerà al City Hall. Non credo, onestamente, che in Germania, la nazione dalla quale era emigrato il papà di De Blasio, stiano facendo lo stesso. Probabilmente perché non ne hanno “bisogno”. La nostra necessità, invece, di rivendicare il nostro posto al fianco dei vincenti è atavica.
Dimentichiamo che da noi, in Italia, una persona perbene come Bill De Blasio, non sarebbe mai stata eletta, anche solo per la sua famiglia etnica e diversa. Sicuramente non per quella moglie (donna di grande spessore) dichiaratamente lesbica e poi “innamorata di Bill perché uomo buono”. Noi che dimentichiamo che il nonno di Bill lasciò la Campania per cercare fortuna altrove, visto che la nostra terra è spesso matrigna verso i suoi figli, oggi siamo lì a tirarlo per la giacca, ripescando alberi genealogici che possano confermare una remota parentela con qualche suo avo. Dimenticando, ancora, che da noi uno come Bill probabilmente non sarebbe arrivato dov’è (e nemmeno uno come Bloomberg o come Obama) senza conoscere “quelli giusti” e senza confondere l’arroganza del potere con la responsabilità della politica. A noi basta Bill De Blasio, un americano nato a New York, a farci sentire bene e consentirci ancora di vederci come i migliori al mondo. Nascondendo dietro questo triste orgoglio il dramma di un paese con il 40% di disoccupazione giovanile. A noi basta dire, “è italiano” senza chiederci come mai, poi, all’estero e solo all’estero gli italiani per bene sappiano e possano vincere e veder riconosciuti i propri meriti.
Bill De Blasio è il nuovo sindaco di New York e perché questa città è l’espressione meglio riuscita dell’integrazione sociale e del sogno americano, può ricordare con un “grazie a tutti” durante il comizio, di essere anche italiano. Anche. E anche nero, anche tedesco, anche comunista, anche persona perbene, anche liberale e idealista. Cioè tutto ciò che noi non sappiamo più essere.