Il terminal nel mirino dei dimostranti è quello di Mellitah, da cui parte il canale Greenstream, che arriva fino in Sicilia. "Ma non ci sono problemi di approvvigionamento", specifica l'amministratore delegato, aggiungendo che i conti in affanno del gruppo sono legati all'instabilità di Tripoli e della Nigeria
Un gasdotto Eni sotto attacco in Libia. A rivelarlo è lo stesso amministratore delegato della società, Paolo Scaroni, ai microfoni di Radio1. “Proprio in queste ore – ha spiegato l’ad dell’azienda – il terminal di Mellitah da cui parte il Greenstream, che raggiunge la Sicilia, è sotto attacco da parte di manifestanti che ci stanno spingendo a chiudere completamente le esportazioni verso l’Italia”. Allo stesso tempo, però Scaroni ha voluto aggiungere di non vedere “problemi di approvvigionamento” per il nostro Paese. Secondo i dati pubblicati sul sito di Snam Rete Gas, le stime dei volumi di metano attesi al termine della giornata dalla Libia sono pari a 12,7 milioni di metri cubi, esattamente quanto programmato. In sostanza, quindi, i flussi dovrebbero essere regolari.
Alla situazione critica in Libia l’ad di Eni collega i conti in affanno della società. Nel terzo trimestre del 2013, infatti, l’azienda ha registrato, su base annua, un calo nel fatturato del 29,4% e una contrazione dell’utile operativo pari al 15,7%. “Sul presente soffriamo la situazione libica – ha spiegato l’amministratore delegato – perché la Libia è il primo Paese in cui operiamo, dalla Libia arriva circa il 15% dei nostri idrocarburi. Soffriamo anche la situazione in Nigeria che sta attraversando un momento di grande difficoltà dal punto di vista dell’ordine pubblico”. D’altra parte, Scaroni segnala la buona prestazione del titolo in Borsa, che “è al massimo del 2013”.
L’ad Eni traccia un quadro non troppo roseo per il mercato del gas nel vecchio continente: “Io dico che gli europei pagano oggi il gas il triplo degli americani ed il doppio l’energia. Questo è vero sia per le aziende che per le famiglie”. La cosa più logica, per Scaroni, è che “anche l’Europa viva la rivoluzione dello shale gas che è all’origine dell’abbassamento dei costi degli Stati Uniti”. Si tratta del cosiddetto gas da argille, la cui estrazione implica un considerevole impatto ambientale. Lo stesso amministratore delegato, infatti, ammette che le polemiche in merito sono anche giustificate, ma non vede alternative “perché altrimenti abbracceremmo la Russia che è l’unico fornitore in grado di darci la quantità di gas di cui necessitiamo ai prezzi che ci permetterebbero di essere competitivi”.