C’è una circostanza casuale ma che illumina bene il momento che New York, e la politica democratica, stanno vivendo in queste ore. Martedì sera, mentre dalle urne uscivano i numeri che davano a Bill de Blasio una schiacciante vittoria nell’elezione a sindaco, nelle sale di New York debuttava la versione cinematografica di Great Expectations, dal romanzo di Charles Dickens. Sono davvero “grandi speranze” quelle che de Blasio ha sollevato in queste settimane in molti newyorkesi, speranze di una politica fortemente liberal, progressista, che riduca differenze sociali e faccia della città un luogo dove “per vivere degnamente non devi guadagnare migliaia di dollari” (è la frase con cui una supporter ha salutato de Blasio martedì mattina, a Crown Heights, poco prima del trionfo finale).

Nell’esplosione di “grandi speranze” e attese di una vita migliore convergono, del resto, quegli stessi elementi che nel recente passato hanno portato altri democratici progressisti a importanti vittorie: Elizabeth Warren a diventare senatrice del Massachusetts nel 2012 ed Eric Schneiderman a conquistare la poltrona di Attorney General di New York nel 2010. “E’ la rinascita, è il rinnovamento”, urlava un altro politico democratico, Joe Crowley, al party della vittoria del neo sindaco. La “rinascita e il rinnovamento” di de Blasio, proprio come nei casi della Warren e di Schneiderman, si ammanta di tante cose diverse: una voglia di riforma e cambiamento che l’esperimento di Barack Obama alla Casa Bianca non ha soddisfatto; un populismo democratico e urbano, nutrito dall’esperienza di Occupy Wall Street, sempre più insofferente nei confronti di privilegi e diseguaglianze; una società ormai compiutamente multietnica che la famiglia – a sua volta – multietnica di de Blasio riflette al meglio (il nuovo sindaco ha salutato i newyorkesi, nel discorso della vittoria, in inglese e poi in spagnolo).

Detto questo, le sfide che de Blasio si troverà ad affrontare nei prossimi mesi sono enormi e molti osservatori fanno notare che il potrà contare su un credito di fiducia e disponibilità molto minore rispetto a quello di Michael Bloomberg. Nonostante alla fine sia diventato sinonimo di “status quo” e privilegio per pochi, Bloomberg è stato un sindaco amato e che ha incarnato come pochi l’essenza di New York: un uomo di origini umili che è diventato uno dei magnati più ricchi d’America; il patrizio con casa nell’Upper East Side che si è preso in carico l’amministrazione della città-simbolo degli Stati Uniti; il miliardario filantropo che ha collocato buona parte della sua fortuna in cause sociali come la lotta alle armi e le borse di studio per i più poveri. Lo stesso de Blasio, che ha condotto una campagna elettorale ferocemente anti-Bloomberg, su molti temi si è trovato in perfetta sintonia con il suo predecessore: dal bando al fumo nei locali pubblici alle iniziative contro lo smog a molti piani di sviluppo edilizio. Tra i primi test di governo per de Blasio ci saranno sicuramente le nomine nei posti-chiave dell’amministrazione: vice-sindaco, capo della polizia, chancellor delle scuole pubbliche.

Sarà per esempio interessante capire se il nuovo sindaco si rivolgerà a uomini dell’apparato democratico, della politica newyorkese, o se invece privilegerà esperienza e competenza. Un altro test immediato riguarda il problema casa. De Blasio ha promesso una stretta sull’aumento degli affitti e 200mila nuovi nuclei abitativi per i meno abbienti. “Non siamo un resort di lusso dove la gente viene a farsi una vacanza”, ha spiegato John Del Cecato, uno dei consulenti della campagna democratica. In realtà, nei mesi scorsi, il vecchio sindaco Bloomberg ha spiegato che “gli affitti sono alti e continuano a crescere, ma questo è il risultato di bassa criminalità, scuole migliori, investimenti nelle arti, nella salute pubblica, nei parchi. E comunque, il fatto che a New York sia venuta ad abitare gente più ricca ha significato anche introiti fiscali più massicci per i servizi”. De Blasio dovrà ribaltare questa ideologia di governo che ha dominato negli scorsi 12 anni e mostrare ai newyorkesi che è possibile mantenere servizi funzionanti senza espellere i vecchi residenti a colpi di affitti inaccessibili e tasse troppo alte. Dovrà anche dimostrare che è possibile tenere sotto controllo la criminalità e migliorare il livello delle scuole senza trasformare la città in “un resort di lusso” per i magnati della finanza.

In campagna elettorale de Blasio è stato tra i più strenui critici dello “stop and frisk”, la pratica della polizia di New York di fermare per accertamenti chiunque sia sospettato di un reato e che ha preso di mira quasi esclusivamente neri e ispanici. De Blasio ha promesso di cambiare rotta ma molto dipende da come i poliziotti della città accoglieranno il nuovo corso e il futuro capo della polizia (al posto di Ray Kelly, il vecchio commissioner teorico dello “stop and frisk”). La sfida forse più difficile per il nuovo inquilino della Gracie Mansion riguarda però probabilmente gli aspetti amministrativi e di bilancio. I critici hanno fatto notare che de Blasio, un politico con esperienza soprattutto di consulente per le campagne elettorali degli altri, manca dell’esperienza e delle capacità manageriali per amministrare una città che impiega quasi 300 mila persone, con un budget di settanta miliardi di dollari.

Negli ultimi anni di amministrazione di Bloomberg i numeri sono stati buoni: il settore privato ha creato 85 mila nuovi posti di lavoro e il bilancio è stato tenuto sotto controllo. Come ha fatto notare l’Independent Budget Office, nei prossimi mesi la città dovrà però affrontare una serie di svolte critiche: soprattutto la rinegoziazione per migliaia di contratti pubblici, oltre alla crescita continua degli interessi sul debito. Sanità e pensioni dei dipendenti pubblici newyorkesi costano oggi quasi quanto la spesa sanitaria e i buoni alimentari per i poveri. La città spende in interessi sul debito la stessa somma stanziata per polizia e spazzatura. Sono queste le sfide vere, concrete che il liberalismo progressista e aperto di Bill de Blasio si troverà di fronte nei prossimi mesi. Sono sfide fatte di numeri e interessi, che non c’entrano nulla con i pericoli paventati in campagna elettorale dalla destra repubblicana – secondo cui la New York di de Blasio allontanerà la finanza e i ricchi, spaventati dallo spettro dell’aumento delle tasse. I ricchi non emigreranno, perché a New York trovano comunque un centro finanziario leader nel mondo, le strutture, competenze, lavoro di cui hanno bisogno e una metropoli ancora culturalmente vibrante. I veri giudici del tentativo di de Blasio, il suo vero banco di prova, sono piuttosto i milioni di newyorkesi che nell’utopia di una città più uguale, gentile, aperta e comunque efficiente hanno creduto.

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