Anche i medici di base tra i cervelli in fuga. Discriminati economicamente, rispetto ai colleghi di altre specializzazioni, prendono il volo verso altri paesi. Nel solo 2012 sono stati 2.500 i camici bianchi made in Italy che hanno raggiunto il Regno Unito. 

Siamo medici di serie B”, dice Marco Nardelli, corsista e Coordinatore Regionale Fimmg Formazione Lazio. E in effetti, nel campionato delle borse di studio, la formazione di un medico di famiglia è l’ultima in classifica: viene pagata 840 euro al mese mentre agli altri è corrisposto il doppio: circa 1.700 euro mensili. Coloro che si formano in medicina generale sono tanti: 2.400 in tutta Italia.

La discriminazione nasce nel 2006 con un decreto dell’ex ministro della Salute Francesco Storace: “Al medico in formazione è conferita una borsa di studio annuale di 11.103 euro”. Un anno dopo, il ministro Livia Turco arrotonda a 11.600 euro. Da questa cifra, però, si devono detrarre i contributi previdenziali e l’assicurazione professionale.

Entrambi i corsi di formazione, pur dipendendo dal ministero della Ricerca Scientifica e dal ministero della Salute, sono pagati diversamente. “A parità di ricerca, di formazione e di legge di riferimento – spiega Nardelli – non abbiamo lo stesso trattamento economico. Siamo medici di serie B”. Il medico di famiglia, durante il corso, che dura tre anni, non può svolgere altre attività professionali e quindi non può avere altre entrate: “Dobbiamo sopravvivere con pochi soldi – dice Nardelli – e, di fatto, siamo vincolati da un rapporto di lavoro subordinato con la struttura sanitaria regionale che ci ospita”.

L’Italia non s’è adeguata alla normativa europea: il corso di formazione è solo un titolo abilitante e non di alta specializzazione come accade nel resto d’Europa dove, nel 90 per cento dei Paesi, è stata istituita una scuola di specializzazione ad hoc.

“La misera borsa di studio di 850 euro – commenta il delegato sindacale – e il valore semplificato di un mero diploma regionale del corso di formazione, sta spingendo molti a fuggire all’estero, in paesi dove questa figura sanitaria è pienamente riconosciuta come specialista. Soltanto la Gran Bretagna, per citare un esempio, nel 2012, ha registrato un aumento di 2.500 medici di base provenienti dall’Italia (Fonte General medical council). Aumentano all’estero e si estinguono nella penisola. In Italia entro 10 anni – secondo un’indagine Enpam (Ente nazionale previdenza e assistenza dei medici) – è prevista una diminuzione di circa 10mila medici di famiglia. Per Nardelli, in un futuro non troppo lontano, “Saranno chiamati professionisti da altri paesi per sopperire a questa carenza”.

Figura obbligatoria disciplinata dall’ACN (accordo collettivo nazionale), il medico di medicina generale, può avere un massimo di 1.500 pazienti. L’accordo nazionale prevede anche che tutta la popolazione debba essere assistita. “Se questa figura primaria diminuisce drasticamente – dice il coordinatore regionale Fimmg – è probabile che si riveda l’accordo e che si raddoppi il massimale previsto: non avremo neanche più il tempo materiale per visitare una persona”.

La strada verso la parificazione con gli altri colleghi specializzandi può nascere dalle decisioni della Provincia autonoma di Trento. L’Ente ha stanziato fondi per raddoppiare le borse di studio a favore dei corsisti in medicina generale. A una condizione: i beneficiari devono impegnarsi, una volta finito il corso, a non lasciare la Provincia autonoma per almeno due anni pena sanzione fino a 25 mila euro. Per ora, però, si tratta di un caso isolato. Ed è forse utile ricordare che, il medico di base, rappresenta un cardine della sanità pubblica: è la prima figura sanitaria cui il cittadino si rivolge, quella in grado di prevenire malattie prima che si trasformino in patologie croniche. Eppure, proprio per questa professionalità, manca una scuola di specializzazione, manca uno stipendio adeguato e – soprattutto – manca l’investimento sul numero di persone formate per anno.

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