Comunque vada a finire con gli spagnoli di Telefonica, Telecom dipenderà in futuro ancora molto dalle banche. Il consiglio di amministrazione della compagnia guidata da Marco Patuano ha infatti deciso di battere cassa. L’aiuto però non lo ha chiesto ai soci, ma al mercato. O, meglio, ai grandi investitori, banche e fondi, che gestiscono risparmi e patrimoni. Sono loro ad essere chiamati a sottoscrivere un convertendo da 1,3 miliardi, ovvero un prestito da trasformare obbligatoriamente in azioni della società a novembre 2016.
Non c’è dubbio che l’operazione rappresenti una boccata d’ossigeno per il gruppo di telecomunicazioni che, nei primi nove mesi del 2013, ha registrato un rosso da 902 milioni. Tanto è vero che il management ha deciso che “il collocamento istituzionale inizierà al momento di questo annuncio e ci si attende termini il prima possibile ed in ogni caso entro l’8 novembre 2013”. E del resto si tratta di una somma importante che è pari a più del 10% dell’intero valore di mercato della stessa Telecom Italia.
Scartato l’aumento di capitale sostenuto dall’ex presidente Franco Bernabé, la soluzione del convertendo appare come una sorta di ultima spiaggia per la società che in Italia impiega circa 53mila in Italia e ha un debito da 29 miliardi di euro con un merito di credito ad un passo dalla “spazzatura” secondo le agenzie di rating.
Del resto la situazione del gruppo è alquanto delicata. Mentre si delinea il futuro della rete, l’azienda continua a soffrire come testimonia il giro d’affari in discesa del 6% a poco più di 20 miliardi. Un dato che in Italia è ancora peggiore visto che il gruppo ha perso 1,3 miliardi di fatturato solo nella divisione domestica. Una flessione che per i vertici di Telecom è legata a doppio filo con il taglio imposto dall’ Authority delle telecomunicazioni alle tariffe applicate per concedere l’accesso della rete alla concorrenza. Le cose vanno meglio all’etero. Soprattutto in Argentina, filiale che il management vorrebbe cedere entro metà del 2014 e per la cui vendita ha appena ricevuto mandato esplorativo per un’offerta già sul tavolo.
Intanto il tempo per invertire la rotta stringe. Il debito pesa e il margine di liquidità, che esprime la capacità dell’azienda di far fronte alle passività correnti a breve, al 30 settembre scorso, è pari a 13,45 miliardi consentendo “una copertura delle passività finanziarie di gruppo per i prossimi 24 mesi”.
Nonostante il momento difficile, Telecom pero’ continua a generare denaro come testimoniano 2,777 miliardi di euro di flussi di cassa. Denaro che ha consentito alla società “di compensare pagamenti di dividendi e imposte per 1,1 miliardi nei primi nove mesi”. Detto in altri termini, i flussi di cassa sono finiti in buona parte in cedole per i soci. Non certo una buona scelta per un’azienda chiamata a ristrutturare un grosso debito e alle prese con la necessità di trovare nuovi capitali per investire nella rete in fibra. Non a caso, il direttore finanziario, figlio del ministro Cancellieri, Piergiorgio Peluso ha tenuto a precisare che la società ha sospeso dividendi ordinari per il 2014. E per ora solo per il prossimo anno dal momento della questione, nel cda in cui si è discusso del piano industriale, non si è parlato delle cedole relative all’intero triennio.
Naturalmente il congelamento del dividendo 2014 non può però da solo salvare Telecom dal suo debito. Il piano industriale al 2016 presentato da Patuano agli analisti prevede 4 miliardi di dismissioni con “la cessione di Telecom Argentina, la vendita delle torri in Italia e Brasile e la produzione di cash”, oltre alla la dismissione di immobili, già avviata con la vendita di un palazzo a Milano per 75 milioni. Operazioni da finalizzare nel corso del prossimo anno. Comprese la vendita del Mux al gruppo editoriale L’Espresso (che fa capo a Carlo De Benedetti) e delle torri della Tim.
Sul tema della rete, infine, Patuano ha confermato la “separazione funzionale” della rete, che “non prevede il coinvolgimento di parti terze”. In pratica, quindi, per ora Telecom prevede solo la separazione della rete italiana dal resto del gruppo. E il suo passaggio dentro una società, controllata al 100% da Telecom. Rappresenta cioè una soluzione interna all’azienda per prepararsi all’eventualità in cui si riesca a trovare la quadratura del cerchio con la Cassa Depositi e Prestiti sulla valorizzazione della rete, sulla quota della Telecom nella nuova società, nonché su debito e dipendenti che confluiranno nella nuova azienda chiamata ad investire in fibra assieme a Metroweb. Una tappa intermedia che testimonia le difficoltà di trattative con la Cassa Depositi e Prestiti. Ciononostante Patuano si è lasciato sfuggire una promessa: “Il 50% degli italiani avrà la fibra ottica entro il 2016”. Della popolazione, appunto, ma non del territorio. E questo resta il problema maggiore.