La prossima settimana la Camera voterà il commissario dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom) che sostituisce il dimissionario Maurizio Décina.
La realpolitik dice che toccherà al Pd nominarlo (sempre che non si spacchi in due o in tre), sia perché “il posto” era l’unico, nell’attuale board di cinque membri, designato dal quel partito (degli altri, due sono in quota Pdl e uno in quota Udc, mentre il presidente fu indicato dal Governo Monti) sia perché è il Pd ad avere la maggioranza relativa alla Camera.
Un anno fa il Pd rispose alla richiesta di trasparenza della società civile scegliendo il suo candidato con delle “primarie” anomale in cui i parlamentari furono invitati a esprimersi su circa trenta nomi. Ma la short list dei candidati era stata pre-selezionata (non è dato sapere da chi) e l’invio di curricula alla Camera, non previsto dalla legge ma sollecitato proprio per aumentare la trasparenza, si risolse in una presa in giro. Tutto era stato già deciso.
Oggi, grazie all’iniziativa del deputato Stefano Quintarelli, la Camera ha di nuovo dato a tutti i soggetti interessati la possibilità di presentare la propria candidatura. I curricula pervenuti saranno poi pubblicati nel portale intranet della Camera, a beneficio dei deputati.
Da diverse settimane i rumors indicano una lotta “interna” tra due candidati che rispecchia il contrasto tra due anime del Pd. Il rischio spaccatura è elevato (lo scrutinio è segreto) e il partito potrebbe anche perdere del tutto la possibilità di designare un membro all’Agcom.
Da un lato sembra favorito Antonio Lirosi, bersaniano, una lunga carriera di dirigente al Ministero dello Sviluppo economico sotto Bersani, soprattutto sui temi della protezione dei consumatori (le associazioni di settore tuttavia propongono un altro nome) ma nessuna attività o competenza specifica sul complesso settore vigilato da Agcom. Lirosi risulta essersi messo in aspettativa per approdare dal Ministero direttamente alle dipendenze del Partito Democratico. Un tecnico che si trasforma in uomo di apparato, dunque. Scelta legittima. Tuttavia, tramontata la vittoria alle elezioni di Bersani e venuti meno possibili incarichi di governo per i suoi collaboratori, la candidatura di Lirosi a un ruolo chiave nell’Agcom, per il quale non ha una diretta competenza, ha il sapore di una tipica ricompensa politica per la fedeltà al partito (fu escluso all’ultimo momento dalle candidature alle scorse elezioni politiche).
Dall’altro lato c’è Antonio Sassano, docente universitario, esperto di frequenze radiotelevisive tanto da esser stato già consulente dell’Autorità (di fatto commissario ombra Agcom per le frequenze) da circa un decennio. Non certo una figura nuova dunque. Da diversi anni Sassano è costantemente candidato ad occupare una poltrona in Agcom. Sebbene si tratti di un noto esperto su uno specifico aspetto delle telecomunicazioni, anche la sua candidatura, espressione dell’area Gentiloni-Franceschini, ha sollevato alcuni dubbi sulla rete. Sassano è infatti oggi presidente dell’organo di vigilanza di Telecom Italia, cioè dell’operatore dominante della telefonia fissa italiana, circostanza che secondo alcuni lo rende non idoneo a ricoprire il ruolo di commissario. Inoltre, il fratello Andrea è stato appena nominato direttore delle risorse televisive della Rai, proprio una delle maggiori società su cui Agcom è chiamata a vigilare, da sempre crocevia dei peggiori intrecci tra mercato e politica.
Insomma il requisito di indipendenza (soprattutto futura) dalla politica e dalle imprese regolate potrebbe non brillare per i due principali contendenti. Le altre candidature uscite fin qui vedono nomi rispettabili ma ”consumati” di ex-parlamentari da ripescare per una buona pensione o per premio di fine carriera (Vita, Zaccaria, Rognoni). Ci sono poi i ‘battitori liberi’ come il giornalista Valentini, candidato dalle associazioni per la difesa dei consumatori, che difficilmente piacciono ai partiti. Altre voci dicono che alla fine ci sarà una candidatura terza, “di una donna“, per ricomporre il puzzle. Ben venga, certo. Ma la candidatura dovrebbe maturare non solo come un modo per rispettare la parità di genere, ma anche e soprattutto come indicazione di un progetto e di una expertise. In questo caso sembra, invece, quasi un fatto estetico e, quindi, cherchez la femme! Infine, gli altri partiti, M5S e Pdl in testa, puntano a fare il colpaccio con un Pd spaccato.
Mai come oggi servirebbero novità profonde tanto nelle persone (uomini o donne purché competenti) quanto nell’approccio culturale ai media in continua trasformazione. E’ possibile che nella generazione dei quarantenni non si trovino energie fresche, volti nuovi, esperti di settore, nel pubblico o nel privato, che non siano in fila per compensazioni politiche, ripescaggi, pensionamenti di fine carriera e così via?
E’ possibile che il Pd debba sempre confermare una vocazione al “circolo chiuso” e alla lotta fratricida tra correnti come in un risiko infinito in cui si propongono i soliti nomi che si occupano da trent’anni di politica o del settore?
L’Agcom è l’autorità che forse più di altre deve governare la modernità e accompagnare la rivoluzione della rete, garantendo la concorrenza, l’innovazione, l’indipendenza, il pluralismo e la democrazia. E’ troppo chiedere di guardare anche alle nuove generazioni per governare questi processi? E’ troppo chiedere discontinuità, competenza e, appunto, indipendenza?
Sarebbe davvero una svolta se il Pd ci sorprendesse. Ma la rivoluzione della normalità non è di casa in un paese vecchio nelle persone, nel potere, nei metodi e nel merito. Niente illusioni, dunque, nemmeno questa volta.