Le bestialità verbali e concettuali di una Italia che ha smarrito il senso del linguaggio trovano, come sempre, in Berlusconi il suo campione ineguagliabile. L’ultima è la nota assimilazione tra la persecuzione dei figli e la tragedia dell’olocausto. Ma Berlusconi è uno dei tanti che ha smarrito il significato di un termine o del linguaggio, dell’uso corretto di una metafora e della contestualizzazione del paradosso. In realtà è ormai comune utilizzare paragoni e termini a vanvera da averci resi immuni e indifferenti all’uso improprio di una parola nata per definire una precisa immagine e, ahimè, finita per generalizzare situazioni tra loro differenti se non contrarie al senso originario.
In un paese in cui un canile mal gestito è un lager, una pioggia insistente, un diluvio, una forzatura parlamentare, un golpe e una democrazia zoppicante, un regime, non bisogna stupirsi se, a ruota, il presidio e la permanenza della polizia in val di Susa diventa paragonabile all’occupazione nazista e, appunto, i giovani Berlusconi vittime da equiparare a chi è stato gasato nei campi di sterminio. Travisando il significato delle parole e dei concetti si opera una duplice falsificazione: una prima di natura storica o scientifica e una seconda di natura emotiva. Rendere la banalità simile alla atrocità finisce con l’annullare le differenze. Le parole diventano solo rumori di fondo capaci di sprofondarci ancor più in una apatia senza memoria. La realtà perde consistenza annegando in un tutto indistinto.
La rinuncia alla ricchezza della propria lingua, alla precisione dei significati, si traduce in una collettiva perdita di senso. Uno smarrimento culturale ancor più grave perché difetta di consapevolezza. Perché, in fondo, tale pressapochismo semantico appartiene a tutti noi, non più capaci di riflettere prima di pronunciare o profferire verbo.