La Energie correggio fondata nel 2007 è andata in rosso con le banche e ora, nonostante la società sia stata venduta agli svizzeri. Ora gli istituti di credito, che accettarono le lettere di patronage firmate dall’amministrazione per garantire liquidità all’azienda in fase di start up, pretendono che sia il Comune a pagare le rate dei finanziamenti concessi alla società
Doveva essere un fiore all’occhiello nella produzione di energie rinnovabili e d’innovazione tecnologica, invece la En.Cor rischia di costare cara ai cittadini di Correggio, in provincia di Reggio Emilia. Perché la Energie Correggio, o En.Cor, fondata nel 2007 “a partecipazione totalmente pubblica”, anno dopo anno ha contratto debiti con le banche per 28 milioni di euro. Ora, nonostante la società sia stata venduta agli svizzeri, gli istituti di credito, che accettarono le lettere di patronage firmate dall’amministrazione per garantire liquidità all’azienda in fase di start up, pretendono che sia il Comune a pagare le rate dei finanziamenti concessi alla società. Che più che un’azienda, negli anni si è rivelata essere un buco nero di fondi e risorse, contraddistinta da bilanci in rosso, investimenti falliti e prestiti su prestiti che sono ancora da saldare.
“Per il momento non si è ancora aperto un vero e proprio contenzioso”, spiega a ilfattoquotidiano.it Marzio Iotti, primo cittadino in quota Pd. Anche perché, ad oggi, la sola ad aver scritto al Comune per chiedere di essere pagata è la Banca di San Felice sul Panaro, che concesse, su lettera di patronage, mutui per 11 milioni di euro a En.Cor. La stessa banca per la quale lavora Alessandra Pederzoli, moglie dell’assessore regionale Gian Carlo Muzzarelli, che fino a due giorni fa non solo era revisore dei conti dell’istituto di credito in questione, ma anche della En.Cor. Un “conflitto di interessi”, come riconosce il sindaco Iotti, per il quale Pederzoli ha presentato le dimissioni dal collegio della società di Correggio.
Tuttavia, continua il primo cittadino, “qualora si dovesse arrivare alle vie legali, e il giudice dovesse dar ragione alle banche, chiamerei in causa lo Stato, perché è la legge che ci ha costretti a vendere. Chi può dire che in un anno l’azienda non avrebbe preso a funzionare, se fosse rimasta in mano nostra?”. Un dubbio che i cittadini di Correggio, però, non hanno. “La En.Cor è un fallimento imprenditoriale, economico e politico – spiega Dante Sologni, membro del comitato ‘Via la nebbia’, nato proprio per chiedere maggiore trasparenza sulla vicenda – in sette anni, a fronte di debiti milionari, solo dal 2008 al 2011 En.Cor ha perso 3 milioni di euro, non c’è mai stato un solo utile”.
La vicenda della En.Cor inizia nel 2007, quando l’amministrazione decise di fondare una società srl, partecipata al 100% dal Comune, “per la realizzazione di una rete di teleriscaldamento alimentata da piccole centrali a cogenerazione funzionanti a fonti rinnovabili a biomassa liquida o legnosa”. Allo scopo vennero effettuati diversi investimenti, come ad esempio “l’acquisizione di 7 motori navali ckd di produzione ceca, con l’obiettivo di riconvertirli al servizio di una centrale a biocombustibile”.
Per garantire liquidità all’azienda il Comune si rivolse alle banche e ottenne prestiti per 28 milioni di euro, a garanzia dei quali firmò delle lettere di patronage. “Che sono diverse dalle fidejussioni – spiega il sindaco – perché se la fidejussione è un impegno a restituire il denaro, il patronage è la garanzia che un’attività produca un profitto in grado di rimborsare chi ha concesso il finanziamento”. Tuttavia, di profitti non ce ne furono. Il piano industriale, a detta dello stesso Iotti, fu “troppo ambizioso”, i materiali necessari, cioè l’olio combustibile di origine vegetale, schizzò da 200 a 950 dollari in cinque anni, e gli investimenti, da quello in Senegal, che costò circa 1 milione di euro, a quello con la Pieffe Trading srl, 720.000 euro più Iva, non portarono utili.
Il risultato, secondo gli advisor, i tecnici incaricati dalla giunta di analizzare la situazione di En.Cor, è stato “una situazione di deficit cronico dal punto di vista economico. I ricavi non sono mai stati sufficienti per coprire integralmente i costi di gestione, né gli interessi sugli investimenti realizzati”.
Situazione aggravata dalla mancanza di trasparenza, motivo per cui uno dei revisori, Noris Gaccioli, decise di dimettersi. Il primo a farlo, perché poi En.Cor mietè molte più vittime. Dopo Giaccioli si dimise anche Luciano Pellegrini, che era al contempo amministratore unico della società e direttore generale del Comune di Correggio, e poi toccò alla Pederzoli, che ha lasciato in queste ore per “conflitto di interessi”. Intanto ci pensò la legge a cambiare di mano la srl: secondo l’articolo 14 del decreto legislativo 78/2010, infatti, i comuni con una popolazione inferiore ai 30.000 abitanti devono mettere in liquidazione le proprie società partecipate qualora queste abbiano riportato perdite in due esercizi. En.Cor, quindi, venne venduta per 202.000 euro agli svizzeri di Armtrade Italia, gruppo Armtrade Holding: cifra calcolata sulla base del valore dell’azienda meno i debiti accumulati. In pratica al prezzo del capitale sociale di En.Cor, più 2.000 euro.
La vendita, però, non imponeva al compratore di farsi carico dei debiti. E ora quei 28 milioni rischiano di ricadere sulle spalle del Comune, e quindi dei cittadini. Il sindaco si dice “sereno”, “perché le lettere di patronage sono decadute. Certo, è un pasticcio”, ammette, ma la colpa è della burocrazia, sono “le norme ad averci sfavoriti. Qualche errore a livello tecnico – decisionale c’è stato, ma è lo Stato che ci ha paralizzati”. I cittadini, invece, parlano di “malagestione”: “La legge è di Bersani, un suo collega di partito, e peraltro impone la vendita solo a fronte di 2 bilanci in perdita. La verità è che l’esperienza è stata condotta da dilettanti allo sbaraglio”. Probabilmente sarà il giudice a decidere chi dovrà risarcire i 28 milioni di euro di En.Cor, ma in ogni caso qualcuno è destinato a rimetterci: “Il Comune ha sbagliato – dicono i cittadini – e rischiamo di essere noi a pagare”.