Il dolore non muore mai. L’ho visto negli occhi di Piero Mottolese, un ex–operaio dell’Ilva che ha lavorato per anni con amore e passione per la sua fabbrica e che oggi ha tracce di piombo nelle urine e nel sangue, ha visto morire o ammalarsi parenti e amici, ha problemi fisici di tutti i tipi, vede male, sente male, ha dolori ovunque.
Piero è un uomo forte, di 60 anni, a modo suo bello. Lo incontriamo in un piazzale e dopo un minuto sta piangendo, con estrema dignità. Piange perché pensa a quello che gli è capitato, agli incidenti sul lavoro, al mobbing subìto.
Ci porta nei pressi degli stabilimenti e ci spiega come funziona la fabbrica, quali sono le sue esalazioni più pericolose, quali gli effetti sulla salute. Ci mostra la polvere rossa – a suo dire veleno – sparsa sulle strade, sulle case, ovunque. Ci mostra il quartiere Tamburi, cresciuto ad un passo dalla grande fabbrica, in cui abitanti bevono, mangiano e respirano prodotti contaminati dal polo industriale.
Lui si è comprato una casa, con i soldi guadagnati facendo l’operaio. Una casa vicino all‘Ilva. Pur non lavorandoci più, quindi, subisce la beffa tremenda di viverci a stretto contatto. Di notte non dorme, ascolta il grande mostro che respira e riconosce ogni suono, ogni lamento. Di giorno la fotografa, la riprende, ne è ossessionato.
Piero è in pensione, ma non è mai uscito veramente dalla fabbrica. Un giorno, qualche anno fa, ha raccolto un pezzo di formaggio di un amico pastore e lo ha fatto analizzare. Si è scoperto che era contaminato da diossina. Ha quindi firmato un esposto alla procura insieme agli attivisti di PeaceLink. La Asl ha ordinato dei controlli e ha confermato il problema diossina. Nel frattempo il pastore è morto per un tumore al cervello.
Nel giro di pochi anni viene vietata la pesca nei mari contaminati dalla diossina – fino a quel momento si vendevano un po’ ovunque le cozze di Taranto – e vengono abbattuti migliaia di capi di allevamento, viene vietato l’allevamento libero in aree incolte per un raggio di 20 km dalla grande fabbrica.
Centinaia – migliaia? – di persone perdono il posto di lavoro nella pesca e nell’allevamento. Il turismo è spazzato via. Qualunque alternativa verde è diventata impossibile senza bonifica, tutto il futuro viene bruciato dall‘incubo della contaminazione da diossina. I tarantini emigrano, e persino l’università in questa grande città rischia di chiudere. Accanto all’Ilva sorge una grande discarica, una centrale dell’Eni che raffina il petrolio, persino un cementificio e in più ci sono tre inceneritori. Il camino E–312 dell’Ilva – il più alto d’Europa con i suoi 210 metri – da solo emette diossina quanto trenta inceneritori. Si può fare tutto a Taranto, in nome di una presunta occupazione.
Mentre ci guida e ci precede avanti e indietro, di giorno e di notte, Piero grida. Grida il suo dolore, ci ripete ossessivamente i dati, piange più volte, ci mostra le analisi le quali documentano che il piombo lo sta avvelenando. A Taranto la diossina è giunta a picchi che hanno toccato il 92% della diossina industriale italiana e l’8,8% di quella industriale europea. Nel 2005 dall’Ilva fuoriusciva più diossina di quella delle industrie svedesi, inglesi, austriache e spagnole messe assieme, come attestato dal database Eper dell’Unione Europea. Per moderare questo scempio i cittadini hanno chiesto e ottenuto nel 2008 una legge regionale per porre un limite “europeo” alla diossina, ma la legge non è stata rispettata proprio nel punto più importante: l’applicazione di un sistema di controllo della diossina 24 ore su 24, il cosiddetto “campionamento continuo“. Di questo Piero parla con cognizione di causa. Lo ripete come un mantra, continuamente.
Hanno messo una rete attorno allo stabilimento siderurgico per fermare i veleni. Una beffa, ci sarebbe da ridere se non ci fosse da piangere. Una stupida, patetica rete dovrebbe fermare le polveri e i fumi cancerogeni emessi da questo mostro di acciaio.
Intanto i ministri, i politici, gli esperti dibattono di lavoro e salute, di messa in sicurezza, di bonifiche future che non cominciano mai.
Ma sono anni che chi vuole sa. Già negli anni ’80 si sapeva. Sono anni che Piero grida il suo dolore e con lui chissà quante persone. C’è voluta la magistratura per portare l’attenzione sulla fabbrica dei veleni. Perché il buon senso non bastava e i politici avevano di meglio da fare. I giornalisti nazionali, poi, preferivano aprire i loro quotidiani e i loro Tg riportando battibecchi tra i politici, il caso Ruby, lo spread.
Muoiono le persone a Taranto, si ammalano, ma soprattutto smettono di sognare e trasformano la propria esistenza in unico ininterrotto incubo scandito dal respiro della grande fabbrica, che in ogni attimo, in ogni suo sbuffo di veleno nel cielo, rinnova un dolore, un dolore che non muore mai.
I bambini che sono nati cinque anni fa hanno respirato nel quartiere Tamburi tanto benzo(a)pirene cancerogeno che è come se avessero fumato oltre cinquemila sigarette, e adesso che frequenteranno la prima elementare portano dentro di sé i polmoni avvelenati di un fumatore incallito.
E’ il benzo(a)pirene che secondo l’Arpa Puglia sarebbe fuoriuscito dalle cokerie dell’Ilva per oltre il 90%. Piero è entrato in quegli impianti per fare manutenzione, e le conosce bene. Piero ha fatto manutenzione anche agli elettrofiltri dell’impianto di agglomerazione dell’Ilva e ha camminato sulle polveri intrise di diossina, leggere come borotalco, di colore rosa, che si alzavano nell’aria ad ogni suo passo. Quelle polveri il vento le ha portate ovunque, sulla città e nei campi.
Ora le famiglie del quartiere Tamburi hanno le case sporche delle polveri dell’Ilva, con i muri rossicci. Non si vendono. Chi le comprerebbe? E così intere famiglie rimangono intrappolate in un quartiere avvelenato, dove ai bambini è vietato giocare nelle aree verdi perché contaminate dalla diossina e dai metalli pesanti.
Tutti rischiano di essere contaminati in un unico sacrificio collettivo. Recentemente una studentessa è venuta qui a scrivere la sua tesi di “antropologia dei disastri”. La sua amica è invece andata in Giappone a scrivere una tesi simile: a Fukushima.
Alessandro Marescotti, Presidente di Peacelink, associazione in prima fila nel battersi per la salute e l’ambiente di Taranto, ha parole di speranza per il futuro: «Taranto deve rinascere. Possiamo seguire l’esempio di Friburgo o di Stoccolma o della Ruhr in cui quartieri più inquinati del nostro Tamburi sono stati bonificati e oggi sono zone verdi e perfettamente vivibili. Tamburi deve diventare un quartiere bellissimo, un simbolo di rinascita. Negli anni la sensibilità è aumentata notevolmente e oggi alle manifestazioni di Taranto partecipano migliaia di persone. L’Ilva da lavoro a 12.000 persone in una città di 200.000 abitanti, ma quanti posti di lavoro toglie? Non basta fermare la fabbrica, chiudere gli impianti a caldo; sono fondamentali le bonifiche e devono essere fatte a regola d’arte. Comunque ce la faremo, ne sono certo. Quando una lotta è giusta la vinci sempre».
Bisogna vincerla questa lotta. Bisogna farlo per Piero. Per i cento, mille, diecimila Piero che ora, mentre tu stai leggendo queste parole, saranno in un prato con una macchina fotografica, o arrampicati sul muro di un’autostrada con una telecamera ad osservare e documentare con odio – e in qualche perversa forma amore – il colore dei fumi della grande fabbrica che in passato avevano tanto amato e che oggi continua a respirare lenta e costante, sincronizzata ineluttabilmente con il battito di piombo del loro cuore.
Daniel Tarozzi
Giornalista e videomaker
Ambiente & Veleni - 8 Novembre 2013
Ilva, a Taranto il dolore non muore mai
Piero è un uomo forte, di 60 anni, a modo suo bello. Lo incontriamo in un piazzale e dopo un minuto sta piangendo, con estrema dignità. Piange perché pensa a quello che gli è capitato, agli incidenti sul lavoro, al mobbing subìto.
Ci porta nei pressi degli stabilimenti e ci spiega come funziona la fabbrica, quali sono le sue esalazioni più pericolose, quali gli effetti sulla salute. Ci mostra la polvere rossa – a suo dire veleno – sparsa sulle strade, sulle case, ovunque. Ci mostra il quartiere Tamburi, cresciuto ad un passo dalla grande fabbrica, in cui abitanti bevono, mangiano e respirano prodotti contaminati dal polo industriale.
Lui si è comprato una casa, con i soldi guadagnati facendo l’operaio. Una casa vicino all‘Ilva. Pur non lavorandoci più, quindi, subisce la beffa tremenda di viverci a stretto contatto. Di notte non dorme, ascolta il grande mostro che respira e riconosce ogni suono, ogni lamento. Di giorno la fotografa, la riprende, ne è ossessionato.
Piero è in pensione, ma non è mai uscito veramente dalla fabbrica. Un giorno, qualche anno fa, ha raccolto un pezzo di formaggio di un amico pastore e lo ha fatto analizzare. Si è scoperto che era contaminato da diossina. Ha quindi firmato un esposto alla procura insieme agli attivisti di PeaceLink. La Asl ha ordinato dei controlli e ha confermato il problema diossina. Nel frattempo il pastore è morto per un tumore al cervello.
Nel giro di pochi anni viene vietata la pesca nei mari contaminati dalla diossina – fino a quel momento si vendevano un po’ ovunque le cozze di Taranto – e vengono abbattuti migliaia di capi di allevamento, viene vietato l’allevamento libero in aree incolte per un raggio di 20 km dalla grande fabbrica.
Centinaia – migliaia? – di persone perdono il posto di lavoro nella pesca e nell’allevamento. Il turismo è spazzato via. Qualunque alternativa verde è diventata impossibile senza bonifica, tutto il futuro viene bruciato dall‘incubo della contaminazione da diossina. I tarantini emigrano, e persino l’università in questa grande città rischia di chiudere. Accanto all’Ilva sorge una grande discarica, una centrale dell’Eni che raffina il petrolio, persino un cementificio e in più ci sono tre inceneritori. Il camino E–312 dell’Ilva – il più alto d’Europa con i suoi 210 metri – da solo emette diossina quanto trenta inceneritori. Si può fare tutto a Taranto, in nome di una presunta occupazione.
Mentre ci guida e ci precede avanti e indietro, di giorno e di notte, Piero grida. Grida il suo dolore, ci ripete ossessivamente i dati, piange più volte, ci mostra le analisi le quali documentano che il piombo lo sta avvelenando. A Taranto la diossina è giunta a picchi che hanno toccato il 92% della diossina industriale italiana e l’8,8% di quella industriale europea. Nel 2005 dall’Ilva fuoriusciva più diossina di quella delle industrie svedesi, inglesi, austriache e spagnole messe assieme, come attestato dal database Eper dell’Unione Europea. Per moderare questo scempio i cittadini hanno chiesto e ottenuto nel 2008 una legge regionale per porre un limite “europeo” alla diossina, ma la legge non è stata rispettata proprio nel punto più importante: l’applicazione di un sistema di controllo della diossina 24 ore su 24, il cosiddetto “campionamento continuo“. Di questo Piero parla con cognizione di causa. Lo ripete come un mantra, continuamente.
Hanno messo una rete attorno allo stabilimento siderurgico per fermare i veleni. Una beffa, ci sarebbe da ridere se non ci fosse da piangere. Una stupida, patetica rete dovrebbe fermare le polveri e i fumi cancerogeni emessi da questo mostro di acciaio.
Intanto i ministri, i politici, gli esperti dibattono di lavoro e salute, di messa in sicurezza, di bonifiche future che non cominciano mai.
Ma sono anni che chi vuole sa. Già negli anni ’80 si sapeva. Sono anni che Piero grida il suo dolore e con lui chissà quante persone. C’è voluta la magistratura per portare l’attenzione sulla fabbrica dei veleni. Perché il buon senso non bastava e i politici avevano di meglio da fare. I giornalisti nazionali, poi, preferivano aprire i loro quotidiani e i loro Tg riportando battibecchi tra i politici, il caso Ruby, lo spread.
Muoiono le persone a Taranto, si ammalano, ma soprattutto smettono di sognare e trasformano la propria esistenza in unico ininterrotto incubo scandito dal respiro della grande fabbrica, che in ogni attimo, in ogni suo sbuffo di veleno nel cielo, rinnova un dolore, un dolore che non muore mai.
I bambini che sono nati cinque anni fa hanno respirato nel quartiere Tamburi tanto benzo(a)pirene cancerogeno che è come se avessero fumato oltre cinquemila sigarette, e adesso che frequenteranno la prima elementare portano dentro di sé i polmoni avvelenati di un fumatore incallito.
E’ il benzo(a)pirene che secondo l’Arpa Puglia sarebbe fuoriuscito dalle cokerie dell’Ilva per oltre il 90%. Piero è entrato in quegli impianti per fare manutenzione, e le conosce bene. Piero ha fatto manutenzione anche agli elettrofiltri dell’impianto di agglomerazione dell’Ilva e ha camminato sulle polveri intrise di diossina, leggere come borotalco, di colore rosa, che si alzavano nell’aria ad ogni suo passo. Quelle polveri il vento le ha portate ovunque, sulla città e nei campi.
Ora le famiglie del quartiere Tamburi hanno le case sporche delle polveri dell’Ilva, con i muri rossicci. Non si vendono. Chi le comprerebbe? E così intere famiglie rimangono intrappolate in un quartiere avvelenato, dove ai bambini è vietato giocare nelle aree verdi perché contaminate dalla diossina e dai metalli pesanti.
Tutti rischiano di essere contaminati in un unico sacrificio collettivo. Recentemente una studentessa è venuta qui a scrivere la sua tesi di “antropologia dei disastri”. La sua amica è invece andata in Giappone a scrivere una tesi simile: a Fukushima.
Alessandro Marescotti, Presidente di Peacelink, associazione in prima fila nel battersi per la salute e l’ambiente di Taranto, ha parole di speranza per il futuro: «Taranto deve rinascere. Possiamo seguire l’esempio di Friburgo o di Stoccolma o della Ruhr in cui quartieri più inquinati del nostro Tamburi sono stati bonificati e oggi sono zone verdi e perfettamente vivibili. Tamburi deve diventare un quartiere bellissimo, un simbolo di rinascita. Negli anni la sensibilità è aumentata notevolmente e oggi alle manifestazioni di Taranto partecipano migliaia di persone. L’Ilva da lavoro a 12.000 persone in una città di 200.000 abitanti, ma quanti posti di lavoro toglie? Non basta fermare la fabbrica, chiudere gli impianti a caldo; sono fondamentali le bonifiche e devono essere fatte a regola d’arte. Comunque ce la faremo, ne sono certo. Quando una lotta è giusta la vinci sempre».
Bisogna vincerla questa lotta. Bisogna farlo per Piero. Per i cento, mille, diecimila Piero che ora, mentre tu stai leggendo queste parole, saranno in un prato con una macchina fotografica, o arrampicati sul muro di un’autostrada con una telecamera ad osservare e documentare con odio – e in qualche perversa forma amore – il colore dei fumi della grande fabbrica che in passato avevano tanto amato e che oggi continua a respirare lenta e costante, sincronizzata ineluttabilmente con il battito di piombo del loro cuore.
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Palermo, 9 mar. (Adnkronos) - I vigili del fuoco del Comando provinciale di Palermo resteranno per tutta la notte tra via Quintino Sella e via Gaetano Daita per tenere sotto controllo l'edificio in cui ieri mattina si è propagato un vasto incendio che ha distrutto l'appartamento all'ultimo piano dell'ex sottosegretario alla Salute, Adelfio Elio Cardinale, e della moglie, l'ex magistrato Annamaria Palma. I due sono riusciti a mettersi in salvo, tutti i residenti sono stati evacuati, un uomo di 80 anni è rimasto intossicato. "Le fiamme sono state circoscritte e non si propagano più. Sono in corso adesso le operazioni di bonifica che consistono nello smassamento della parte combusta e nello spegnimento dei focolai residui. Per tutta la notte sul posto sarà effettuato un servizio di vigilanza antincendio", ha spiegato in serata all'Adnkronos Agatino Carrolo, direttore regionale dei vigili del fuoco della Sicilia, da ieri mattina sul luogo del rogo.
"Abbiamo dovuto tagliare il tetto con le motoseghe. I miei uomini hanno lavorato a 25 metri su un piano inclinato di 30 gradi e abbiamo lavorato con la dovuta cautela. Tagliato il tetto si impedisce alle fiamme di propagarsi. Quindi rimangono da effettuare le operazioni di bonifica, di rimozione del materiale combusto e laddove ci sono dei focolai residui spegnerli. Oltre a questo si prevede di effettuare un'operazione di vigilanza antincendio ceh consiste in un presidio fisico a vigilare lo stato dei luoghi fino a quando non ci sarà più bisogno", ha detto.
E ha aggiunto: "Ci siamo trovati ad operare ad un altezza di 25 metri dal piano di calpestio. Dobbiamo spegnere un incendio importante di un tetto di circa 400 mq di falde e le fiamme sono particolarmente insidiose perché questa combustione è caratterizzata dal cosiddetto fuoco covante ossia una combustione in condizione di sotto ossigenazione che corre nello spazio di ventilazione del tetto. Quindi in superficie non si vede nulla ma ad un certo punto le fiamme affiorano dove è possibile".
Roma, 8 mar (Adnkronos) - "Non c’è molto da dire, se non che mi vergogno e che mi dispiace molto. Il Pd è germogliato dalle tradizioni più alte e più nobili della storia politica del Paese. Ha nel suo dna l’europeismo. Ed è di tutta evidenza che non può essere questo il nostro posizionamento". Lo scrive sui social Pina Picierno rispondendo alle proteste sui social per il post del Pd sulla questione del piano di Difesa Ue in cui si legge 'bravo Matteo' a proposito delle posizioni di Matteo Salvini.
"Mi vergogno, infatti. E sono allibita", aggiunge la vice presidente del Parlamento europeo.
Roma, 8 mar (Adnkronos) - "Ma vi siete bevuti il cervello Elly Schlein? Vi mettete a scimiottare Salvini. I riformisti sono vivi? Hanno qualcosa da dire? Paolo Gentiloni, Lorenzo Guerini certificate la vostra esistenza in vita al netto di Pina Picierno e Filippo Sensi". Lo scrive sui social Carlo Calenda, rilanciando un post del Partito democratico sulla questione del piano di Difesa Ue in cui tra l'altro si legge 'bravo Matteo' a proposito delle posizioni di Salvini.
Roma, 8 mar (Adnkronos) - "In Italia si aggira un tizio - si chiama Andrea Stroppa - che rappresenta gli interessi miliardari e le intrusioni pericolose di Elon Musk. Dopo avere espresso avvertimenti vagamente minatori e interferito sull’attività di governo, questo Stroppa ha insultato due giornalisti, Fabrizio Roncone e la moglie Federica Serra, con il metodo tipico dell’intimidazione". Lo dice il senatore del Pd Walter Verini.
"Esprimiamo solidarietà ai due giornalisti. E ci chiediamo anche cosa aspetti Giorgia Meloni, Presidente del Consiglio di questo Paese, a far sentire la sua voce contro queste ingerenze, questi attacchi, questi tentativi di intimidazione a giornalisti e giornali”, aggiunge il capogruppo Pd in Antimafia.
Roma, 8 mr (Adnkronos) - "Mentre il dibattito politico italiano viene inevitabilmente attratto dalla demagogia, da Trump arriva un’altra sberla: l’ipotesi del ritiro di 35.000 soldati americani dalla Germania. Si va di cigno nero in cigno nero, ma tutto questo sembra non ridestare dalla bolla della politica politicante il governo". Lo scrive sui social il senatore Enrico Borghi, vicepresidente di Italia Viva.
"Oggi il Capitano ha animato i suoi gazebo nei fatti contro la linea della Premier e dell’altro Vicepremier (che dovrebbe essere il Ministro degli Esteri). Di fronte a questi scenari, serve un soprassalto di responsabilità. Oggi - aggiunge Borghi - di fronte agli sviluppi della guerra in Ucraina e alla svolta anti-Nato di Trump sono in gioco le nostre libertà democratiche: questo è il tema chiave di questi anni".
Washington, 8 mar. (Adnkronos) - E' stata eseguita tramite fucilazione la condanna a morte di Brad Keith Sigmon, che aveva scelto il plotone di esecuzione alla sedia elettrica e all'iniezione letale, i metodi adottati dalla South Carolina per le pene capitali. La Corte Suprema dello Stato aveva rifiutato l'ultima richiesta di sospensione dell'esecuzione, la prima tramite fucilazione eseguita negli Stati Uniti in 15 anni.
Il legale dell'uomo, condannato a morte per l'omicidio dei genitori della sua ex fidanzata con una mazza da baseball, ha spiegato al Washington Post che il suo assistito ha scelto il plotone di esecuzione perché "ha paura" ed è preoccupato per le possibili sofferenze provocate dall'iniezione letale, il cui procedimento, ha aggiunto il legale, viene "tenuto segreto".
Secondo quanto riferiscono i media americani, un plotone di esecuzione di tre agenti ha sparato all'uomo da una distanza di circa 4,6 metri all'interno del Broad River Correctional Institution nella capitale dello stato Columbia.
I giornalisti che hanno assistito all'esecuzione da dietro un vetro antiproiettile hanno affermato che Sigmon indossava una tuta nera con un piccolo bersaglio rosso fatto di carta o stoffa sul cuore. In una dichiarazione finale letta dal suo avvocato, Gerald King, Sigmon ha dichiarato di voler inviare un messaggio di "amore e un invito ai miei fratelli cristiani ad aiutarci a mettere fine alla pena di morte".
Al condannato è stato quindi messo in testa un cappuccio e circa due minuti dopo il plotone di esecuzione, composto da volontari del South Carolina Department of Corrections, ha sparato attraverso fessure in un muro.
Da quando è stata reintrodotta la pena di morte negli Usa nel 1976 sono state eseguite solo tre condanne a morte per fucilazione, tutte nello Utah, nel 1977, nel 1996 e nel 2000.
Roma, 8 mar. (Adnkronos) - “Il risultato record raggiunto con il 2x1000 per il 2024 consente al Partito democratico un investimento straordinario sui territori: questa settimana abbiamo inviato oltre un milione di euro alle nostre articolazioni regionali e provinciali, che si somma alle 440.000 euro già anticipate. Si tratta solo del 70% di quanto pattuito, in quanto lo Stato non ha ancora trasferito l’intero 2x1000 spettante ai partiti politici. Ma noi invieremo comunque entro marzo il restante 30%, superando in totale i 2 milioni di euro relativi al solo 2024. Se sommiamo queste risorse al mezzo milione di euro trasferito lo scorso anno, possiamo calcolare che, in questi due anni di segreteria, il Pd nazionale ha trasferito ai territori più del doppio delle risorse trasferite negli otto anni precedenti sommati insieme, cioè dalla fine del finanziamento pubblico al 2022". Lo sottolinea il tesoriere del Pd, Michele Fina.
"Oggi -aggiunge- possiamo farlo perché sta arrivando a compimento una grande opera di risanamento del nostro bilancio, ma soprattutto perché abbiamo fatto fin dall’inizio una scelta precisa: investire per sostenere la partecipazione, l'attività politica e, in ultima istanza, la democrazia nel Paese. Abbiamo unito tutti i livelli del partito in un unico sforzo corale. Per questo nel 2024 siamo risultati il primo partito in assoluto con 10.286.000 circa di risorse, con una crescita di 3 milioni in due anni e ben 628.000 contribuenti che ci hanno scelto. È il dato più alto della nostra storia”.
“In un tempo in cui -le democrazie liberali sono messe in discussione dalla prepotenza finanziaria di plurimiliardari stranieri e dalla forza economica delle big tech, il Partito democratico -aggiunge la segretaria Elly Schlein- riparte dai territori, dal coinvolgimento della base, dal riacquisto e riapertura delle sedi, dalla formazione politica".