Stupri, percosse, torture con scosse elettriche. E’ quanto hanno dovuto subire i migranti naufragati al largo di Lampedusa il 3 ottobre scorso. “Le donne venivano tutte violentate dai componenti dell’organizzazione criminale che gestiva la tratta dei migranti”, ha spiegato Corrado Empoli, il capo della mobile di Agrigento, nel corso di una conferenza stampa. Gli agenti hanno illustrato l’indagine che ha portato all’arresto di un cittadino somalo e al fermo di un palestinese responsabili del traffico di immigrati diretti in Italia. In particolare, venti donne sarebbero state stuprate sia dal cittadino somalo fermato sia da alcuni miliziani libici nel periodo in cui i migranti erano tenuti prigionieri in un centro di raccolta a Sheba, in Libia.
Si chiama Mouhamud Elmi Muhidin, 34anni, il somalo arrestato dalla polizia per sequestro di persona, tratta di esseri umani, associazione a delinquere finalizzata al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e violenza sessuale nell’ambito dell’indagine nata dopo il naufragio di Lampedusa. Nell’inchiesta è stato fermato per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina il palestinese Attour Abdalmenem, 47 anni. Il somalo è stato individuato perché era stato riconosciuto nel centro di Lampedusa dai migranti sopravvissuti, che hanno tentato di linciarlo. L’operazione è stata condotta dalle Squadre Mobili di Palermo ed Agrigento e dal Servizio Centrale Operativo di Roma e coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia. Si tratta di una delle prime occasioni in cui gli investigatori sono riusciti a risalire alla identità di uno dei capi della organizzazione criminale che gestisce i flussi migratori illegali tra il corno d’Africa, il Sahara e la Libia verso le coste della Sicilia.
Le indagini, grazie alle testimonianze dei naufraghi, hanno ricostruito il percorso dei migranti per arrivare in Italia. Nel deserto tra Sudan e Libia, varie organizzazioni paramilitari intercettano carovane di persone in viaggio verso le coste libiche: queste vengono sequestrate, portate in veri e propri centri di tortura, come quello di Sheba, sottoposte a sevizie e tenute prigioniere sino a quando le loro famiglie mandano ai rapitori il riscatto. Poi vengono portate sulle coste e imbarcate per l’Italia. Per il viaggio pagano altro denaro: ogni migrante frutta 5mila dollari. “Una sera, dopo essere stata allontanata dal mio gruppo – ha raccontato una delle donne vittime di violenza – sono stata costretta con la forza, dal somalo e da due suoi uomini, ad andare fuori. Dopo avermi buttata a terra e bloccata alle braccia e alla bocca, mi hanno buttato in testa della benzina. Poi, non contenti, a turno, hanno abusato di me”.