Sul suo bel blog I dolori della giovane libraia, Nathan Ranga ha pubblicato un interessante post che analizza la situazione del mercato librario italiano, partendo dall’oggettivo e indiscutibile successo anche dell’ultimo romanzo di Fabio Bonetti, in arte Fabio Volo, La strada verso casa.
Volo da quando pubblica per Mondadori ha sempre stra-venduto, ma forse quest’ultimo suo lavoro – forte delle 28.000 copie comprate in una settimana – è riuscito a stupire in modo più profondo tanti osservatori. Ranga infatti nota: non è solo la sovraesposizione mediatica di questo autore a determinare un successo così clamoroso, e porta in esempio altrettanto clamorosi flop recenti che pure hanno goduto di una campagna mediatica di uguale entità, da Tre di Melissa P. per Einaudi in giù. Conclude la blogger: Volo non è dotato di “quella magia impalpabile” che fa raggiungere il successo a certi autori; il suo immane successo sarebbe dovuto “al contesto culturale-storico” italiano di oggi, unanimemente considerato “straordinariamente basso” e, secondo Ranga, perfettamente abbracciato dal livello culturale di Fabio Volo.
Se andiamo ai crudi numeri, i dati statistici del Censis denunciano come meno di un italiano su due (il 49,7% della popolazione) legga almeno un libro all’anno, con un calo rispetto all’anno precedente del 6,5% (46° rapporto Censis, 2012). Lo stesso rapporto definisce come “lettori forti” quegli italiani che leggono “almeno dieci libri all’anno” – oggettivamente un numero assai basso: meno di un libro al mese – e ricorda come questi nel 2012 sono scesi al 13,5% della popolazione, più che dimezzati rispetto solo al 2007, quando erano il 25,6%. Alla base di questo dimezzamento certo c’è la crisi economica e il fatto che i libri, nel passaggio dalle lire all’euro, sono uno di quei prodotti su cui è stato attuato di solito un cambio disonesto, così che gli economici a 8000 lire sono passati a quasi 8 euro, anziché a quasi 4, e via così, con i volumi oggi in prima uscita spesso attorno ai 18 euro, che sono vecchie 34mila e 850 lire: tanti quattrini, specie se nel contempo il lavoro e i soldi scarseggiano per tutti.
Per quanto l’analisi di Ranga non possa dirsi né folle, né disonesta, io mi permetto di dissentire. Con i miei 60-80 libri letti all’anno, le statistiche del Censis non mi calcolano proprio; diciamo che sono un lettore assiduo. Assiduo, ma non snob. E anche se non sono un dotto conoscitore dell’opera di Fabio Volo – di cui ho letto appena tre lavori: Esco a fare due passi, E’ una vita che ti aspetto e Il tempo che vorrei – non ho difficoltà a dichiarare che Fabio Bonetti ha talento ed è un talento. Ha talento quando fa il radio o video deejay, ha talento quando s’improvvisa attore al cinema. Ha talento quando si mette a raccontare una storia. E probabilmente aveva talento anche quando faceva il panificatore o il garzone di bottega, o il pubblicitario. E’ un uomo a cui riescono bene le cose che dipendono quasi solo da lui.
Non è uno scrittore, forse, perché il livello dei suoi romanzi è unimodulare e nel complesso ha uno stile molto elementare, adatto al grandissimo pubblico, e penso all’intervista del calciatore Francesco Totti letta qualche tempo fa, che ammetteva di aver letto solo un libro in tutta la sua vita, da bambino, e di ritenersi per questo “forse ignorante, ma non stupido”. Tuttavia, se non come scrittore allora come scrivente, Fabio Bonetti ha talento. Sa raccontare una storia, ha letto a sufficienza per aver carpito qui e lì le tecniche principali della narrazione. E soprattutto, ha sempre delle storie da raccontare. Sa organizzare delle trame, e scusate se è poco.
A termine lettura, se i suoi libri sono fatti su commissione, non appaiono così. Appaiono come delle esigenze sue personali. D’accordo: i suoi personaggi sono monotoni: è sempre la storia della sua vita, la storia di un ragazzo attorno a trent’anni, e del suo interagire a vista con il mondo femminile e quello del lavoro. Sono temi banali – “inflazionati” come direbbero gli editor – e universali; non a caso sono i temi del tanto sopravvalutato Andrea De Carlo con le sue inverosimili Marsha Mellows e del 90% degli scrittori italiani eterosessuali sotto i 40 anni.
La riflessione che a mio modo di vedere andrebbe fatta è che purtroppo nell’Italietta di oggi Fabio Volo verrebbe pubblicato anche se scrivesse molto peggio, per via del nome che si è fatto, della sua fama televisiva e radiofonica. Tuttavia i libri di questo ex-panificatore bresciano andrebbero pubblicati anche nell’ipotesi in cui lui non fosse famoso. Perché anche se lontani dall’idea di “letteratura” che viene insegnata a scuola e in università, sanno rendere un’atmosfera e sanno trasmettere delle emozioni a milioni di lettori deboli. Cinque milioni, per la precisione. Cosa che spesso altri autori, convinti di essere infinitamente migliori di Volo, proprio non riescono a fare. In questa capacità del sor Fabio Bonetti risiede l’aspetto propriamente culturale dei suoi libri: rispecchiano e rappresentano la cornice italiana d’inizio XXI secolo, con tutti i limiti che ciò comporta. Ma anche con alcuni indiscutibili pregi.