Di recente ho apprezzato il libro “La Patria, bene o male” di Massimo Gramellini perché, ricordandomi il percorso del nostro paese nei 150 anni dalla sua unificazione, mi ha fatto riflettere ed ha quindi contribuito al mio arricchimento umano. Prendo spunto da un suo recente “Buongiorno” per alcune riflessioni sul rapporto tra pensiero scientifico e intuizione umana.

In particolare, la sua brillante presa in giro degli algoritmi ha suscitato in me alcune riflessioni. La prima è che usare la facile retorica dello scienziato che scopre l’ovvio e della dipendenza tecnologica usata per controllare l’insicurezza, per poi invocare qualcuno che con “sana follia della passione” faccia piazza pulita dell’arido sapere scientifico che vuole (s)piegare il comportamento umano, non contribuisce all’accrescimento culturale dei lettori.

Ho recentemente criticato proprio l’uso meccanico degli algoritmi per valutare la ricerca, argomentando che gli esseri umani sono “più intelligenti di qualunque sistema di regole e di indicatori costruito con il supporto della tecnologia”. Alcune delle affermazioni dell’articolo di Gramellini sopra citato mi trovano pertanto d’accordo.

Una seconda riflessione è quella riguardante la dicotomia scienza-letteratura: quando il sentimento umano si fa beffe del pensiero scientifico il risultato non è mai produttivo. Penso, invece, che bisogna valicare il ponte tra “le due culture” e capire che il punto di vista scientifico e quello umanistico alla conoscenza sono complementari e non antagonisti.

Se il modo di pensare basato sull’ottocentesca assunzione del primato dell’approccio umano-sociale alla conoscenza del mondo fosse corretto, dovremmo buttar via prima di tutto il cellulare. Infatti, questo funziona perché la gestione delle chiamate avviene proprio con un algoritmo, inventato – tra l’altro – da uno scienziato di origine italiana. Dovremmo poi sbarazzarci di gran parte della tecnologia moderna, nella quale è innestata sempre più profondamente l’informatica, la disciplina che fa dello studio degli algoritmi uno dei suoi pilastri fondamentali.

E, soprattutto, dovremmo rinunciare ad una delle conquiste culturali più importanti che gli algoritmi hanno apportato al XX secolo: verificare che un’intuizione è corretta sembra essere enormemente più facile che trovare l’intuizione stessa. Questo spiega perché certi problemi possono essere risolti dai computer (imbattibili nella verifica) e per molti altri abbiamo bisogno delle persone (eccellenti nell’intuizione).

C’è un grande bisogno di dialogo tra chi conta e chi racconta. Giornalisti e scrittori potrebbero apportare un maggior contributo alla formazione dei lettori confrontandosi di più con chi quotidianamente lavora con gli algoritmi. In questo modo si arriverebbe meglio a comprendere quella tensione che è andata sviluppandosi nella società contemporanea tra visione tecnologica e visione umana e l’assoluta necessità di arrivare ad una loro maggiore integrazione.

Il compito è difficile, la parola chiave è collaborazione.

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