Un durissimo report di Amnesty International intitolato “Cattiva Informazione” accusa le compagnie petrolifere, in particolar modo Agip e Shell, di falsificare i documenti riguardanti le fuoriuscite di petrolio nel Delta del Niger. In buona sostanza, scrive Amnesty, queste compagnie attribuiscono le perdite dovute alla corrosione dei loro oleodotti a inesistenti sabotaggi o tentativi di furto da parte delle popolazioni indigene. Un modo per evitare di pagare risarcimenti alla popolazione locale in quello che è uno dei maggiori danni all’ecosistema perpetrati oggi sulla terra. E anche il sistema di monitoraggio e controllo dei dati è assolutamente da cambiare. Infatti, scrive Amnesty, le indagini sono condotte da società dipendenti delle stesse aziende che si proclamano vittime dei furti e dei sabotaggi, e non, come dovrebbe essere per legge, da organizzazioni indipendenti. Sia Shell che Eni (proprietaria di Agip) respingono le accuse al mittente, sostengono non siano comprovate a sufficienza e invitano la prestigiosa Ong a non intralciare il loro lavoro.
Il Delta del Niger è uno dei maggiori produttori di petrolio al mondo, oltre che uno dei posti più inquinati e inquinanti del pianeta (basti pensare che le trivellazioni petrolifere causano la più grande emissione dei famigerati gas serra) e da quarant’anni è teatro di sanguinose battaglie tra i contractor, assoldati dalle compagnie per proteggere i loro uomini e macchinari, e le popolazioni indigene. Vedi la truce impiccagione del poeta Ken Saro-Wiwa, per cui Shell pagò una cospicua somma in tribunale “non perché colpevole ma per facilitare la pacificazione”. In questo lembo di terra, scrive Amnesty nel report, “intere popolazioni sono condannate a morte, e flora e fauna sono altresì condannate alla distruzione a causa dell’inquinamento”. Un inquinamento causato anche dalle costanti fuoriuscite di petrolio, come hanno confermato le Nazioni Unite solo due anni fa.
“Ma il punto – spiega Amnesty – è che il Delta del Niger è l’unico posto al mondo dove le compagnie ammettono che l’inquinamento è prodotto da loro, e allo stesso tempo dicono che non è per colpa loro. Quando in un qualsiasi altro posto dovrebbero fornire adeguate spiegazioni”. Nel caso di Shell, prosegue Amnesty, “i loro rapporti sull’impatto ambientale sono molto spesso falsi, dicono che le indagini sulle perdite di materiale tossico sono impeccabili e non è vero, sostengono che l’ambiente è stato ripulito e mentono, e si nascondono poi dietro una trasparenza inesistente, dato che controllano tutte le informazioni disponibili e decidono quali rendere pubbliche e quali no. Non c’è nessuno che possa quindi stabilire cosa sia vero e cosa sia falso dei dati che Shell diffonde, data anche l’instabilità sociale dell’area. In definitiva, quello che dice Shell a proposito del suo impatto ambientale nel Delta del Niger non può essere creduto”.
La risposta del gigante petrolifero è che invece le indagini sono condotte da società indipendenti, e che la principale causa d’inquinamento sono i frequenti sabotaggi degli oleodotti da parte dei ladri di petrolio. E qui veniamo ad Agip, che secondo il report nel solo 2012 ha denunciato l’incredibile cifra di 474 perdite isolate di petrolio, e poi ha promesso un investimento di oltre 200 milioni di dollari nella messa in sicurezza degli oleodotti per gli anni 2013-15. Intervenuto in un programma della BBC, Ciro Pagano, capo delle operazioni Agip in Nigeria, ha assicurato che la società paga puntualmente i danni alle popolazioni indigene e ha confermato che la causa principale dell’inquinamento sono i cosiddetti ladri di petrolio. Quando gli è stato fatto notare come Agip, pur operando in un’area decisamente più piccola, abbia denunciato quasi il doppio delle fuoriuscite di Shell, e come se dal 2010 sono state denunciate oltre 1500 perdite può sembrare tardivo l’investimento promesso per gli anni 2013-15, Pagano ha risposto che riferirà agli azionisti del problema.
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