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Bill De Blasio sindaco di New York, l’America che ci piace

Mi pare oggi più che mai necessario non confondere il necessario impegno anti-imperialista che vale nei confronti di chiunque voglia ergersi a controllore, gendarme e dominatore del mondo, tanto più in una fase complessa e per certi versi originale come quella che attualmente stiamo vivendo, e un certo antiamericanismo di maniera che può rivelarsi quanto mai deleterio.

Da questo punto di vista, alcune buone notizie che giungono dagli Stati Uniti possono essere di aiuto. Da tempo avrei voluto scrivere parole di elogio per la decisione di liberalizzare la marijuana adottata in base a un referendum avvenuto in Colorado o per la legittimazione dei matrimoni omosessuali da parte di vari Stati dell’Unione.

Sembra in effetti destino che il centro dell’impero possa essere, su alcuni temi, più avanti della sua periferia, specie se si tratta di una periferia alquanto disgraziata e da sempre subalterna come quella che ci è toccata in sorte come patria.

L’elezione di Bill De Blasio a sindaco di New York, avvenuta a grande maggioranza, sia pure con un’affluenza alle urne che è in media rispetto ai non esaltanti dati che provengono dagli Stati Uniti, ai quali del resto da tempo ci stiamo purtroppo conformando anche qui da noi, costituisce in questo senso un elemento importante, la cui portata va ancora più al di là degli eventi ora menzionati.

Non ho la fortuna di conoscere personalmente De Blasio, ma ci sono alcuni dati della sua biografia che mi sembrano abbastanza confortanti.

In primo luogo, la sua provenienza dall’Italia, il suo essere quindi discendente di una famiglia di migranti, risultato quindi di un fenomeno che andrebbe adeguatamente valorizzato e riconosciuto anche in Paesi come il nostro, divenuti oramai, nonostante tutto, meta di immigrazione.

In secondo luogo, la sua ispirazione fortemente interculturale, confermata dalla composizione della sua simpatica famiglia.

In terzo luogo, l’origine della sua famiglia da Sant’Agata dei Goti, nobile città del Beneventano, nota finora per essere stata la sede vescovile di Sant’Alfonso, estensore in tempi non sospetti di una dottrina importante contro l’usura e lo strapotere della finanza, messaggio questo oggi più che mai attuale ed importante.

In quarto luogo, la sua frequentazione giovanile del Nicaragua sandinista, a favore del quale era impegnato in concreti progetti di solidarietà, come gli è stato rimproverato dalla destra repubblicana nel vano intento di screditarlo. Ricordo come, trovandomi in Nicaragua in piena aggressione statunitense per interposti contras a metà degli anni Ottanta, ebbi modo di incontrare, in alcune delle località del fronte di quella guerra sporca, perché condotta contro il popolo nicaraguense dai mercenari armati e addestrati dalla Cia, alcuni giovani statunitensi che ebbi modo di apprezzare per entusiasmo rivoluzionario ed abnegazione. Ed è bello scoprire oggi che anche l’attuale sindaco di New York era all’epoca uno di quei giovani.

In quinto luogo il suo riferimento non rituale al movimento occupy, esemplificato dalla sua affermazione di voler essere il sindaco del 99% della società contro l’1% del potere finanziario e tutto sommato un pochino mafioso. 

In sesto luogo il suo programma che contiene un’enfasi assolutamente condivisibile sui diritti sociali per tutti, a partire da salute e istruzione, nonché la necessità, acutissima negli Stati Uniti come da noi, di tassare adeguatamente i ricchi anche per capovolgere l’insopportabile tendenza all’approfondimento delle diseguaglianze sociali.

Certamente il nuovo sindaco di New York non avrà vita facile. Ma la sua elezione costituisce una chance da non perdere per cambiare le cose a New York come anche altrove, colpendo concretamente il potere illimitato alla finanza e mettendo al centro delle attenzioni e della politica le comunità e gli individui. Propongo che i sindaci delle grandi città italiane, da De Magistris a Pisapia, da Accorinti a Orlando a Doria  a Zedda a Marino, mettano in cantiere concrete politiche di consultazione e cooperazione con l’italo-americano che è divenuto, grazie a un appoggio popolare senza precedenti, il primo cittadino della città che, nel bene e nel male, può ben essere considerata il simbolo del mondo attuale.