Fabrizio Cinquini, arrestato per aver coltivato marijuana a scopo terapeutico, a causa delle lungaggini burocratiche si trova ancora dietro le sbarre. La moglie: "Mi sento offesa e scandalizzata per la telefonata del ministro Cancellieri a favore di Giulia Ligresti"
Un’email dimenticata dall’amministrazione penitenziaria e una persona che potrebbe andare ai domiciliari resta dietro le sbarre. E’ quello che è accaduto a un medico chirurgo di Pietrasanta, in provincia di Lucca. Fabrizio Cinquini ha appena festeggiato i suoi 50 anni chiuso nel carcere di Massa, ma da tempo avrebbe potuto essere a casa con moglie e figlia. Il problema? Un errore burocratico. Per questo la moglie Lucia Pescaglini, 47 anni, si è indignata per la telefonata di interessamento che Anna Maria Cancellieri, ministro della Giustizia, ha fatto per la detenuta Giulia Ligresti. “Anche mio marito ha smesso di mangiare in carcere – dice Pescaglini – e ha problemi di salute: ha l’epatite C, contratta nel ’98 mentre operava in emergenza a bordo dell’ambulanza. Eppure nessuno si muove per farlo uscire: anzi, i domiciliari che gli spettano di diritto sono bloccati da settimane perché l’email con la richiesta è stata dimenticata”.
Da luglio Cinquini è in carcere in attesa di giudizio, da quando cioè i carabinieri hanno trovato nel suo giardino una coltivazione di cannabis. Il medico è noto per le sue ricerche terapeutiche con le piante. A riprova della sua buona fede, in passato si è pure autodenunciato. Tutto iniziò nel ’98, quando contrasse il virus dell’epatite C in ambulanza. Abbattuto da 18 mesi di chemio, Cinquini iniziò a curarsi con una terapia a base di cannabis, aloe e papaia. Riacquistò peso e anticorpi. Da allora non ha smesso di studiare le proprietà curative della pianta, incorrendo più volte in arresti.
Il mondo antiproibizionista segue la sua vicenda, in attesa della prossima udienza, il 14 novembre. “La sua era disobbedienza civile: sapeva di infrangere leggi discutibili”, spiega la moglie. Ma la battaglia del medico pro cannabis si è trasformata in un incubo senza fine: in attesa del processo è stato portato al carcere di Lucca, poi, dopo 16 giorni di sciopero della fame, all’ospedale psichiatrico di Montelupo Fiorentino e, dichiarato sano di mente, spostato nel carcere di Massa.
Poi l’annuncio della concessione dei domiciliari. Ma a bloccare il suo ritorno a casa è stata la sovrapposizione di un’altra pena: i domiciliari che, al momento dell’arresto, scontava per lo stesso reato e che sarebbero finiti a dicembre. Secondo la difesa, avrebbe comunque diritto a uscire, grazie anche alla legge 199 del 2000. Cinquini ne ha fatto richiesta. Ma l’email che ne è seguita, in un punto imprecisato del tragitto burocratico tra l’ufficio educatori, quello di esecuzione penale esterna e il tribunale di sorveglianza, è andata persa: qualcuno non l’ha letta o si è dimenticato di inoltrarla.
“E’ inaccettabile che qualcuno resti in carcere un mese e mezzo più del dovuto per poco comprensibili lungaggini burocratiche”, commenta al telefono l’avvocato Claudio Miglio. Aggiunge la moglie: “Basta un foglio dimenticato sulla scrivania e, se non hai nessuno fuori che ti aiuti, rischi l’ergastolo. Per questo mi sento offesa e scandalizzata dalla telefonata di Anna Maria Cancellieri: come può pensare che l’intervento di un ministro, per giunta della Giustizia, non abbia influenza? Questo offende la mia intelligenza e tutti gli italiani cui una telefonata cambierebbe la situazione”.