Marcello Dell’Utri riapre il tormentone della grazia al Condannato. “I cinque figli l’hanno già firmata”. Al Quirinale non risulta: “Non è mai arrivato nulla”. Il senatore-avvocato Ghedini smentisce, ancora una volta, l’esistenza del documento sottoscritto dai figli. Giovedì era toccato a Confalonieri lanciare la notizia. Ieri sera, a Virus di Nicola Porro su Raidue, il pizzino dellutriano che trasforma il tormentone in giallo: “Nel momento in cui è stato deciso e gli è stato chiesto di farla chiedere ai figli, i figli l’hanno chiesta, mi sembra ovvio, solo che è brutto il discorso: i figli la chiedono e non gliela danno?”. Porro chiede: “Non è arrivata al Quirinale?”. Dell’Utri: “E che ci vuole per farla arrivare”. Ancora: “Le risulta che è arrivata al Quirinale e si è persa in qualche ufficio?”. “Evidentemente non gliela vogliono dare. Vogliono che Berlusconi si arrenda, si deve arrendere”. Appena l’altro giorno, lo stesso B. ha consegnato a Vespa un altro appello: “Napolitano fa ancora in tempo a darmi la grazia”. Il punto è il metodo. Il Condannato vorrebbe un atto motu proprio del Colle, secondo la versione dei falchi. Adesso, però, Dell’Utri aggiunge un altro tassello: chi è che non vuole far arrivare la domanda al Quirinale? I lealisti, che spingono B. alla rottura col governo, rivelano: “La notizia è di 15 giorni fa. I figli erano pronti, ma il Quirinale avrebbe fatto sapere che era troppo tardi”. Secondo un retroscena di Repubblica la richiesta di grazia è stata davvero firmata dai figli lo scorso agosto, ma non è mai stata presentata in maniera formale al Quirinale.

Il giallo della grazia scoppia nel giorno in cui il Cavaliere ha deciso di andare allo scontro totale con le colombe di governo guidate da Angelino Alfano. Le “oscillazioni ad horas” (copyright Cicchitto) del Condannato volgono all’ora fatale. Ormai, la scissione dei falchi dai governisti, e viceversa, è nei fatti. Palazzo Grazioli, ieri a pranzo. Silvio Berlusconi riunisce le colombe Gianni Letta e Renato Schifani, poi Denis Verdini e Renato Brunetta, Capezzone e D’Alì. C’è anche Maria Rosaria Rossi, senatrice-assistente del Cavaliere. Sul tavolo, c’è la legge di Stabilità, ma B. è reduce dal lungo faccia a faccia notturno con Angelino Alfano, l’ingrato figlioccio senza quid. Il colloquio con il vicepremier è andato malissimo e Berlusconi si sfoga a tavola. La manovra dell’esecutivo non viene nemmeno sfiorata.

Gianni Letta gioca in difesa e tenta di arginare il Condannato furioso. Disperato, l’ex Gran Visir dei poteri forti, tenta la provocazione. Rivolto a Verdini, il banchiere plurinquisito addetto alla “macchina” del Pdl, Letta dice: “Denis non è che sbagli i conti come il 2 ottobre (il giorno della fiducia a Letta, ndr) e fai fare un’altra figuraccia a Silvio?”. Il riferimento è alla battaglia in corso sugli 800 e passa consiglieri nazionali del 16 novembre. Verdini incassa da vecchia canaglia. Dissimula: “Non ho alcuna certezza, solo promesse per telefono”. La conta impazza e si litiga, nemesi grandiosa per il Condannato decadente, sul voto segreto, chiesto dalle colombe. Nelle stesse ore, il vicepremier Alfano si attacca al telefono per convincere i consiglieri uno per uno. Dal premier Letta arriva una ciambella di salvataggio: “La seconda rata dell’Imu non si pagherà”. Lo scontro Verdini-Letta finisce e B. a quel punto urla: “Il consiglio nazionale si farà, caro Gianni, e ci conteremo tra chi vuol far cadere il governo, dopo la mia decadenza, e chi no”. Il Condannato getta la maschera e prosegue: “Scenderò in piazza con l’Esercito di Silvio e girerò l’Italia, tutti devono sapere”. E a tavola si litiga già su chi sarà il capogruppo di Forza Italia al Senato. Verdini fa il nome della Bernini. Ma Capezzone obietta: “Ci sono anche Palma e Romani”. Già.

da il Fatto Quotidiano del 9 novembre 2013, aggiornato dalla redazione web

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