“L’indagine continuava ad allargarsi, non smetteva di bussare alle porte per consegnare nuovi avvisi di garanzia, e qualcuno se ne doveva restare a casa. Mezzo paese agli arresti domiciliari, l’altro mezzo a sudare fuori fra interviste e aggiornamenti, dicerie e pettegolezzi. Abitanti e forestieri uniti nella definizione corale di una trama sempre più intricata e misteriosa. La primavera era anche esplosione di vita forense. Un pool di avvocati si era insediato in alcuni appartamenti per prestare assistenza agli indagati e consumarne i risparmi segregati per anni in polverosi conti bancari (…) In fondo era la nuda affermazione di un principio universale: si sa che la morte genera sempre vita. Si viveva per la cronaca, ma finalmente si viveva”.
Sindaco e assessori sono preoccupati: la popolazione diminuisce di anno in anno e loro rischiano la poltrona se il comune verrà declassato a frazione. Un orologiaio anarchico, meglio conosciuto come il “sabotatore di campane”, accenderà i riflettori su Roccapelata. Da tempo Gaetano Gurradi è in cammino per spegnere la voce di Dio in ricordo di un eccidio dimenticato. Stavolta, proprio quando sta per mettere a segno il “colpo”, viene scoperto sul fatto dal parroco che, dopo una colluttazione, scivola giù per le scale e muore. L’anarchico si costituisce. Nessuno gli crede. Uno dopo l’altro i paesani sfilano davanti all’ambizioso magistrato che coordina le indagini, Astolfo Carugis, autoaccusandosi e svelando scheletri nell’armadio pur di ottenere notorietà. Gli aspiranti colpevoli richiamano così l’attenzione dei media sul paese moribondo. Ridotto a una comparsa di se stesso, Gaetano dovrà riattraversare il territorio della sua memoria per sfuggire alla follia, ripercorrendo il viaggio che dai primi anni Sessanta lo ha portato fino all’ultimo campanile e al fatale, insensato epilogo. Ogni significato affiorerà nella riscrittura dei suoi ricordi, tra i quali un posto speciale è riservato alla figlia Emma. Questa la sinossi de ‘Il sabotatore di campane’, di Paolo Pasi, pubblicato da Edizioni Spartaco.
Si tratta di un romanzo romantico, coraggioso, originale e struggente. Una storia grottesca a tinte noir che si prende gioco della contemporanea e subdola società civile nostrana (che fa di tutto per diventare massmediatica) e che tributa dignità e valore al pensiero anarchico, sia quello consapevole che a quello inconsapevole. Una trama che si snoda tra il presente dell’assurda indagine giudiziaria con i suoi meschini e patetici protagonisti e il percorso dell’orologiaio, un uomo buono, che attraversando l’Italia e l’Europa in cerca di giustizia fa conoscere al lettore i sentimenti di rivalsa di chi ha vissuto il Dopoguerra, la Milano ancora non colonizzata dai mocassini e dagli aperitivi, la Amsterdam dei provocanti Provos, l’ignobile vicenda di Piazza Fontana, i caotici anni Settanta, le comuni svizzere, l’Italia da Bere, lo smarrimento senza fiato del mondo globalizzato.
“Fu un congedo avaro di parole, ma ricorda ancora le sue rughe inumidite, quello sguardo che lo aveva riavvicinato a suo padre e da cui ora si allontanava. Furono gli anni della sua formazione autonoma, vissuti in una strana forma di equilibrio conflittuale. Il comunismo libertario dei padri e la ribellione dei figli. I canti della tradizione anarchica e le canzoni di protesta. Il vino rosso e la marijuana (…) gli anni Sessanta furono la sua indisciplina organizzata, la sua controffensiva contro il dio che tornava ad alzare la voce per nuovi padroni. Autogestione, azioni dirette, marce antimilitariste, riunioni psichedeliche. Inseguiva sogni di libertà continuando a sentirsi anarchico, ma a modo suo. Senza presagire che, pochi anni dopo, una nuova strage avrebbe riportato padri e figli allo stesso destino”. È un libro bello e commovente ‘Il sabotatore di campane’, e Paolo Pasi è bravo a combinare i vari elementi del presente e del passato in un’alternarsi di quadri veloci ed efficaci, ballate anarchiche dal sapore del plot cinematografico in bianco e nero. Un libro scritto da una persona libera per lettori liberi. Un romanzo di speranza e di affermazione del “diverso”: “essere anarchico è prima di tutto una condizione interiore. Non si può reclamare la libertà degli altri se non si è prima conquistata la propria (…) il bello dell’utopia è che sopravvive al tempo. È memoria declinata al futuro. Prima o poi il potere imploderà, pensa l’anarchico. La sua libertà adesso gli sta davanti”.