Roma, periferia est, via Tor de’ Schiavi. Un palazzo abbandonato dal 2006 di proprietà dell’Acea, gruppo che si occupa del servizio idrico ed elettrico, diventa la casa per oltre trenta persone. A meno di due settimane dall’occupazione, si lavora per rimettere a posto lo stabile di tre piani. “C’era l’erba alta più di un metro”, dicono mostrando i bagni tirati a lucido e le stanzette con letti e fornellini a gas. L’acqua, anche se solo fredda, esce dai rubinetti ma l’elettricità manca. “Abbiamo un generatore e usiamo le candele. Non vogliamo allacciarci abusivamente: poveri sì, ma ladri no”, spiega un occupante. A legare le storie dei 37 inquilini di via Tor de’ Schiavi, fra cui sette bambini, c’è l’impossibilità di pagare un affitto. C’è chi ha perso il lavoro, chi è disoccupato da anni o chi non guadagna abbastanza. Un signore mostra le cicatrici sul piede: “Lavoravo sui cantieri a nero. Sono caduto dalla scala ed è stato l’inizio della mia rovina: non ho potuto più lavorare”. “Io guadagno 600 euro al mese – racconta una ragazza – sono separata con una figlia di quattordici anni”. C’è anche chi non ha mai vissuto in un appartamento “perchè non ho mai avuto i mezzi”, dice un ragazzo bengalese da trenta anni in Italia disoccupato da oltre un anno. L’occupazione è un melting pot di nazionalità: italiani, etiopi, indiani, eritrei e rumeni. “Andiamo d’accordo – dicono – siamo come una famiglia” di Annalisa Ausilio