Edoardo e Ilaria, una volta sposati, sono partiti per il Canada. Entrambi avevano contratti a tempo indeterminato, ma poche prospettive. "Qui ci sono servizi che ti aiutano nella ricerca di casa e lavoro. Ed è più semplice costruire una famiglia"
Vivere in un Paese è anche una questione di fiducia. E, nonostante due contratti a tempo indeterminato, Ilaria Di Camillo ed Edoardo Facchinelli avevano perso fiducia nell’Italia. I loro lavori, a Roma, non bastavano per assicurare un futuro e la possibilità di costruire qualcosa di concreto. Così, trentenni, dopo il viaggio di nozze hanno impacchettato “valigie, gatti e sogni” e si sono trasferiti a Montreal, in Canada. “Edoardo era un tecnico informatico specializzato che lavorava da otto anni in un’azienda e io – racconta Ilaria – ero un tecnico alla Apple. Insomma, la nostra situazione era fortunata rispetto a tanti nostri amici precari, ma nonostante questo sentivamo di non avere prospettive. Non riuscivamo a metter da parte qualche risparmio, pur avendo uno stile di vita molto semplice e quando abbiamo chiesto un mutuo per acquistare casa, la banca non poteva darci nemmeno la metà del necessario per un appartamento in periferia nella capitale”. Edoardo conferma: “La situazione stava diventando assurda. La mia posizione lavorativa era a rischio, mi hanno chiesto più volte di ‘stringere la cinghia’, dicendomi che poi le cose sarebbero andate meglio, senza che poi cambiasse nulla. Così, nonostante la fiducia che avevo risposto in questo Paese, ho smesso di crederci. Qui è diverso: in poco tempo ho trovato un lavoro, che amo molto perché legato al mondo dei videogiochi e che pur essendo considerato di ‘entry level‘, (livello base per acquisire le competenze richieste dal nuovo lavoro, ndr) già mi permette di guadagnare uno stipendio più alto di quello italiano”.
La scelta di spostarsi al di là dell’Atlantico non è stata però casuale: prima di trasferirsi, Edoardo aveva già vissuto in Canada e dal 1995 aveva ottenuto la cittadinanza. “Per noi certamente è stato più facile – confessa Ilaria – qui vive anche il padre di Edoardo e non siamo partiti allo sbaraglio. Ottenere il visto è un processo lungo e complesso. Io ho chiesto il ricongiungimento familiare e sono in attesa che verifichino il mio background, ma per il momento non posso lavorare. Intanto perfeziono le lingue”. Acquisiti i documenti, però, “si è considerati canadesi al cento per cento, ci sono servizi che ti aiutano nella ricerca di casa e lavoro e la differenza culturale viene vista come un valore. E qui hanno una buona considerazione del nostro Paese, amano le nostre tradizioni e la buona cucina. Una volta un signore ci ha fermati dopo aver sentito che eravamo italiani e ci ha lasciato il suo numero di telefono”.
In quasi un anno Edoardo e Ilaria hanno stilato una lunga lista di pregi e difetti: “Quello che ci colpisce in negativo è che spesso i canadesi non apprezzino totalmente quello che hanno e si lamentino di cose che in realtà funzionano, come i trasporti. Poi il grande freddo, il cibo e i prezzi Iva esclusa, che sono ingannevoli: mangiare fuori, ad esempio, è carissimo. In compenso, però, gli affitti sono molto meno cari, ci piace la gentilezza delle persone e il fatto che ci sia uno stipendio minimo garantito. Ma soprattutto, ci conforta il pensiero che qui costruire una famiglia sarebbe più facile, grazie anche agli aiuti da parte dello Stato“. Insomma, “l’aria è meno pesante che in Italia, dove si percepisce un clima di sfiducia contagiosa”. Per rimanere in contatto con i propri cari e far vedere la nazione con i loro occhi, Edoardo e Ilaria hanno anche aperto un blog, Nerd in Canada, dove raccontano le loro esperienze e danno informazioni a chi è interessato a trasferirsi. “Una sorta di diario – spiega Edoardo – dove annotiamo le nostre ‘avventure da geek‘ e diamo consigli, soprattutto per quanto riguarda la burocrazia. Prima di partire anche noi abbiamo consultato molti blog, trovandoli di grande utilità. Perché sappiamo che ricominciare in un altro Paese non è facile, si tratta di tornare a ‘fare la gavetta’, ma continuiamo a credere che l’importante sia avere una prospettiva futura”.