Scienza

Ricerca scientifica: dati falsificati, meritocrazia e competizione

Credi ma verifica! In questo motto si può riassumere il successo della scienza, in cui la verifica sperimentale delle teorie e dei modelli è stata il perno sui cui si è costruito l’edificio scientifico. La prestigiosa rivista l’Economist punta però il dito sul declino della qualità della ricerca scientifica moderna: si va da analisi statistiche approssimative, a casi di esperimenti non riproducibili, ma anche a casi di manipolazioni.

Il caso emblematico è sicuramente quello di Jan Hendrik Schön, il “bambino prodigio” della fisica mondiale degli inizi degli anni duemila, che, prima di essere stato scoperto per aver falsificato tutti i dati dei suoi esperimenti, era riuscito a pubblicare in due anni e mezzo otto articoli su “Nature” e sette su “Science” senza che nessun editor avesse il minimo sospetto e senza che, dopo la scoperta della frode, ci sia stata una vera autocritica da parte di queste (e altre) riviste. Schön inoltre è stato ritenuto l’unico responsabile della frode e ha dovuto lasciare la sua posizione. Il caso Schön è la punta di un iceberg?

Non dunque è un fenomeno nuovo e ne parlava Laurent Ségalat in un bel libretto di qualche anno fa (La Scienza Malata, Cortina). Ségalat identifica come una delle principali cause del declino che sta mettendo a rischio l’intero processo scientifico moderno, l’eccessiva competizione che è stata incoraggiata dal sistema di assegnazione dei posti e di selezione dei progetti di ricerca ovvero da un certo tipo di implementare la valutazione. La corsa a pubblicare sulle migliori riviste il numero maggiore di articoli possibile, la fame di citazioni, l’obiettivo di accrescere i propri parametri bibliometrici (articoli e citazioni) come unico scopo della propria ricerca, sono, infatti, indotti dalla sempre più spietata selezione dei progetti di ricerca a cui sono legate le carriere dei singoli ricercatori.

Osserva Ségalat che “per entrare nel sistema non bisogna essere bravi, bisogna essere migliori degli altri”, e dunque “il ricercatore è trascinato, che lo voglia o no, dalla corsa finanziamenti-pubblicazioni-finanziamenti”. Dunque se si vuole investire la propria ricerca in progetti impegnativi a lungo termine si crea un cortocircuito: “Come posso raggiungere il lungo termine se non sopravvivo nel breve?”. E’ questa la ragione principale dell’irresistibile tendenza al conformismo nella ricerca moderna, l’altra faccia dell’esasperata competizione. Si preferisce lavorare su progetti di ricerca che puntano a ottenere, innanzitutto, il consenso della comunità di riferimento piuttosto che a proporre l’esplorazione di nuove, e magari controverse, idee.

Come invertire la tendenza? Questa è la domanda che la comunità scientifica in primis dovrebbe affrontare senza timore di passare per “anti-meritocratica”: poiché la valutazione della qualità della ricerca gioca un ruolo così importante nello sviluppo della dinamica scientifica moderna non è possibile lasciarla nelle mani di burocrati o, peggio ancora, di questa classe politica.