Provate a entrare in un carcere. Senza manette, da semplici ospiti di una mostra. La Camera Penale di Milano, insieme all’Associazione nazionale Magistrati di Milano, ha dato vita alla mostra “Chiaro Scuro del Carcere” all’interno del penitenziario di San Vittore. Un percorso, fisico e immaginario dentro al carcere e la vita di chi ci è recluso che ha suscitato l’interesse di parecchie personalità, fra cui il sindaco di Milano.
Personalmente, ho provato a seguirlo questo percorso. Mi ha portata più lontano di quanto immaginassi. Entri nel carcere come un normale visitatore, da piazza Filangeri, per accedere ad un’ala di San Vittore da tempo stata dismessa. Inutile dire che ti sequestrano cellulari, tablet e quant’altro: niente tecnologia, niente appigli verso l’esterno. È stato straniante, soprattutto per una “tech addicted” come me. Poi vieni gentilmente accompagnata dagli agenti della Polizia Penitenziaria alla mostra. Attraversi antri umidi ma percorri anche uno spazio in cui non puoi non rimanere impietrita dalla volta enorme, bellissima, che ti sovrasta. In rovina, corrosa dall’umidità, da rimettere in sesto, ma comunque l’ultimo slancio verso l’alto la libertà.
Da lì, ancora un corridoio e si sale lungo una scaletta infernale, strettissima e tutta rotta. Accede direttamente a un ambiente a volte, più stretto e lungo: sei dentro uno dei raggi del carcere, abbandonato e tuttavia affascinante. Un corridoio con una serie di celle minuscole. E per minuscole, intendo dire grandi come una cucina non abitabile. Quando mi hanno raccontato che lì dentro ci vivevano sei persone non volevo crederci. Alle pareti c’erano delle mensole molto strane. Mi sono dovuta avvicinare per capire che erano fatte di tanti pacchetti di sigarette messi insieme. Niente scaffali veri: il rischio di suicidio è troppo alto.
È dentro a queste celle, fra i ritagli sgualciti di calciatori famosi e donne seminude, cancelli slabbrati, vernice gonfia e sbriciolata dall’umidità che si trovano le fotografie della mostra. Due per ogni cella, tutte in bianco e nero, come se fossero sbarre dentro ad altre sbarre, che ti costringono a vivere la situazione dei carcerati, a guardarla, a capirla. Raccontano la storia dell’iter carcerario di chi entra. Un cammino completamente differente dal mio, che non prevede via d’uscita: l’ingresso nella struttura, dove il detenuto lascia tutti i suoi pochi averi che vengono ordinatamente catalogati e riposti in scaffali. Riceve in cambio una tuta, una coperta, un rotolo di carta igienica e due posate che hanno visto tempi migliori. Una fila claustrofobica di cancelli che chiudono tutti i corridoi a intervalli regolari; un’infermeria desolata; una cella coperta di graffitti che raccontano tante vite finite su binari sbagliati.
Le foto sono state scattate da un avvocato, Alessandro Bastianello: un professionista della legge, non della fotografia, che dimostra di avere una sensibilità non solo estetica, ma anche umana, nel catturare momenti di quotidiana non-vita dentro a una prigione. È stata un’esperienza. Alla fine della visita, risotto alla milanese per tutti, preparato da alcune detenute. Ritorno alla normalità: mi hanno restituito solo dopo il risotto, il cellulare.