C’erano ben quattro generali italiani mercoledì 6 novembre tra le bianche sabbie del New Mexico, a 15mila chilometri da Roma: il generale Preziosa, capo di Stato maggiore dell’Aeronautica, l’ammiraglio Girardelli, vicesegretario generale della Difesa, il generale Vecciarelli, anche lui del Segretariato generale della Difesa, e il generale Pinotti, meglio nota per il suo incarico di copertura di sottosegretario alla Difesa, versante Pd. Il senatore-generale Roberta Pinotti risalta al centro della sorridente foto ricordo scattata al J.W. Cox Range Control Center con alle spalle una gigantografia di una bella esplosione nucleare. Giusto per non dimenticarsi che il 16 luglio 1945 quelle stesse sabbie ospitarono Trinity, il primo test nucleare al mondo. Ventuno giorni dopo, Little Boy fu sganciato su Hiroshima.
A parte il folclore (da noi ci sono le quintane, là in America i test nucleari: uno si arrangia con quello che ha) i quattro italiani erano lì per un evento sicuramente spettacolare: l’ultimo test del missile Meads. L’ultimo nel senso che era l’ultimo di una serie di lanci di prova programmati ma anche perché sarà probabilmente l’ultimo lancio in assoluto di questo missile dopo che gli Stati Uniti hanno annunciato la loro uscita dal programma.
Sul Meads ho già scritto altre volte. Si tratta di un programma missilistico tri-nazionale (Stati Uniti, Germania e Italia con quote rispettivamente del 58, 25 e 17 per cento) che si trascina tra spaventosi ritardi (doveva entrare in servizio nel 2008, poi corretto in un più realistico 2018) e costi ancora più spaventosi: ormai siamo a 4,2 miliardi di dollari spesi, con l’Italia che ha già contribuito con circa 580 milioni di euro. Ritardi e costi tanto fuori controllo che gli Stati Uniti, due anni fa, decisero di ritirarsi dal progetto. Dopo un tira e molla con il Congresso che ripristinava per ragioni clientelari i fondi cancellati dal Pentagono, alla fine la condanna a morte definitiva per il Meads americano è stata pronunciata.
Il punto è che, se gli Stati Uniti pensano che il missile a loro non serva più, noi italiani non avremmo mai dovuto entraci. Abbiamo già in servizio sia la versione terrestre che quella navale del missile franco italiano Fsaf che fa esattamente le stesse cose: difesa antiaerea e antimissile balistico a breve e medio raggio. Una versione in sviluppo dello stesso sistema avrà capacità antimissilistiche contro ordigni a medio-lungo raggio. La decisione statunitense aveva provocato una vera e propria isteria tra le nostre alte sfere della Difesa. L’ammiraglio Di Paola (anche lui al tempo aveva un incarico di copertura, come la Pinotti: diceva di essere ministro della Difesa) era come impazzito. Andò avanti e indietro a Washington minacciando e implorando perché il Meads non fosse fermato, per non parlare delle lettere ultimative a vari leader del Congresso Usa. Mesi fa, di fronte all’inevitabile diniego statunitense a continuare, il generale Debertolis, allora Segretario generale della Difesa italiano, aveva addirittura suggerito che l’Italia magari avrebbe potuto fare da sola e acquisire una batteria di Meads. Per difendere Roma, disse. Da chi?
In assoluta continuità con il suo collega ammiraglio-ministro, la sottosegretaria-generale non si è fatta sfuggire l’occasione per emularne le gesta volando per 15mila chilometri assieme a tre greche (e chissà quanti altri al seguito) per assistere all’ultimo lancio di prova programmato prima della morte del Meads e per dare un bel sostegno pubblicitario indovinate a chi? Ma alla Lockheed naturalmente, la stessa a cui il pio Mario Mauro, che dichiara essere il ministro della Difesa della Repubblica italiana, ha dato la faccia per uno spottone propagandistico per l’F-35. A sua insaputa, è ovvio.
Secondo il comunicato del ministero della Difesa, la senatrice Pinotti (loro usano solo il titolo di copertura, non si sa mai) ha elogiato “l’altissima tecnologia di questo nuovo sistema di difesa che garantisce protezione a vasto raggio sia per obiettivi militari sia per obiettivi civili”. Beh, adesso siamo decisamente più tranquilli: proteggerà anche obiettivi civili. Per cui, vedete, è un missile buono. D’altronde nell’Italia delle missioni di pace armate fino ai denti, dei Letta dalle palle d’acciaio smentite, delle navi da guerra dell’ammiraglio De Giorgi per fare protezione civile, un missile deve almeno proteggere i civili.
Il tour promozionale della Pinotti a favore della Lockheed non si è limitato a White Sands. No, dopo il bellissimo lancio (geometrica potenza?) è volata a Washington “per incontrare i vertici della Lochkeed Martin al fine di commentare il successo del Meads – Flight test” (sono sempre parole del comunicato ufficiale). Ve l’immaginate la scena: tra un canapè di gamberetti e una flûte di champagne sai che risate pensando a quanti soldi ancora dovrà pagare il contribuente italiano alla Lockheed e ai suoi associati se il programma dovesse andare avanti. Eh sì, perché per finire lo sviluppo quel 58 per cento degli americani dovrebbe essere diviso tra italiani e tedeschi e forse tra un altro partner che si dice possa essere la Polonia. E di soldi, prima di arrivare alla produzione, ne occorrono ancora tanti. Probabilmente non meno di un miliardo di euro. Il radar ad esempio, il pezzo più importante del sistema, secondo il rapporto Assessments of Selected Weapon Programs pubblicato dal Pentagono nel marzo 2013 è pronto solo al 50 per cento.
E comunque, poi, ‘sto benedetto missile bisognerà pure comperarlo. E anche lì: sai che ridere, altri miliardi. Speriamo almeno che i biglietti dell’aereo per White Sands li abbia pagati la Lockheed.