I principali partiti, Cdu/Csu e Spd, concordano sulla "fat tax" per alimenti con più di 275 calorie ogni cento grammi. Il 67,1% degli uomini, il 52,9% delle donne e il 15% dei bambini tedeschi risultano infatti sovrappeso. Una situazione che grava per 17 miliardi l’anno sul bilancio dello Stato
Un aumento dell’Iva su tutti gli alimenti da più 275 calorie per ogni cento grammi: mentre continuano serrate le discussioni sul programma comune di governo che Cdu/Csu e Spd devono sottoscrivere congiuntamente prima di formare l’esecutivo, i due maggiori partiti tedeschi sembrano aver trovato l’intesa sulla possibilità di una tassazione maggiore per i prodotti “grassi”. A parlarne per primo è stato il quotidiano Bild che ha pubblicato un’intervista a Edgar Franke, parlamentare Spd e membro del comitato di Salute del Bundestag: “Sovrappeso ed obesità sono tra i principali fattori di rischio per pressione alta, diabete, cancro e malattie cardiache e circolatorie. Una tassa sui cibi grassi e ricchi di zucchero come su patatine fritte, cibo da fast food e dolci ipercalorici potrebbero sensibilizzare le persone in sovrappeso a cambiare le proprie abitudini alimentari”.
Sulla stessa lunghezza d’onda si è poco dopo espresso il collega Erwin Rüddel della Cdu: “Una riforma di questo tipo aumenterebbe la consapevolezza generale sulla nutrizione”. Insomma, la Germania si interroga sullo stato di salute dei propri cittadini e lo fa con un occhio anche al portafoglio. Secondo il rapporto del governo federale sullo stato nutrizionale dei tedeschi ben il 67,1% degli uomini, il 52,9% delle donne e il 15% dei bambini risultano infatti sovrappeso, una situazione che, secondo gli esperti della Bild, costa annualmente ben 17 miliardi l’anno alle casse dello Stato. Una tassa sull’obesità avrebbe quindi anche il merito di coprire parte di queste spese, senza colpire chi, al contrario, si tiene in forma. Non è la prima volta che si parla dell’introduzione in Germania della cosiddetta “fat tax”, già peraltro introdotta con risultati altalenanti sia in Danimarca (dove l’aumento dei prezzi di alcuni prodotti, soprattutto quelli a base di burro, ha portato molta gente a comprarli nelle vicine Svezia e Germania) che in Giappone e recentemente anche in Messico (mentre in Francia dal 2012 sono colpite solo le bibite gassate a zucchero aggiunto).
Nel 2010 un accurato studio dell’economista Silke Thiele dell’università di Kiel concluse che la tassazione non sarebbe stato il migliore modo per ridurre l’obesità nel paese vista la bassa elasticità tedesca in termini di cambio di consumi di cibo grasso di fronte ad aumenti di prezzi importanti, ma non troppo alti. E’ vero che le elezioni sono ormai alle spalle e che è nei primi mesi di insediamento che un governo ha la possibilità di prendere le decisioni più impopolari pensando al benessere di lungo periodo del paese, ma è comunque difficile prevedere una positiva reazione generale dei tedeschi a questa possibile tassazione.
L’alimentazione è uno di quegli ambiti in cui meno si vuole l’intervento dirigista dello stato. Prova ne è quanto successo al partito dei Verdi durante la scorsa campagna elettorale quando la decisione di inserire l’inserire nel proprio programma l’istituzione di un veggie day, ovvero di un giorno a settimana in cui le mense pubbliche non servono carne, è stato percepito come una delle ragioni principali del loro calo di consensi (certificato dal misero 8,1% ottenuto alle urne di settembre), nonostante anche in quel caso, dietro la loro proposta, c’era anche il proposito di potere fare risparmiare la sanità tedesca sui costi le spese dovute alle errate abitudini alimentari tedesche. Del resto In una nazione in cui i piatti più tipici sono i würstel e il döner kebab (che è nato a Berlino), negarsi anche i propri eccessi a tavola sarebbe un po’ come tradire anche sé stessi.