Motivare i militanti del Pd è sempre più difficile. Le larghe intese, le tessere fasulle, la rinuncia di Prodi. È un momento difficile, e per il Pd è un momento che dura dalla nascita. Così i candidati alla segreteria corrono ai ripari. E scrivono ai militanti. Lo fanno con una email a testa che, per molti versi, si confà come il bignami delle loro mozioni. Vorrebbe essere una chiamata alle armi, ma sembra più che altro un brodino per elettori sempre più sfibrati. Le email sono destinate a un database di circa 450mila iscritti in vario modo alla newsletter del Pd. Di questi 90mila o giù di lì sono tesserati al Pd. I destinatari, previa comunicazione del Pd, hanno accettato nelle scorse settimane l’intensificazione di email in prossimità dell’ 8 dicembre: un calvario conquistato a fatica.
Il database è conosciuto dal Pd, ma non dai candidati, che dunque scrivono le email al Pd che a sua volta le inoltra agli iscritti. Alcuni votanti alle precedenti primarie lamentano di avere ricevuto solo la lettera di Renzi e il comitato di Civati specifica che loro, a differenza di altri, non hanno spammato i poveri elettori. Paradossalmente è proprio la email di Civati a essere arrivata ieri per ultima, anche a causa di un imprecisato “blocco del server”. In compenso sono arrivate subito le email di Matteo Renzi, Gianni Pittella e Gianni Cuperlo.
Renzi, come sempre, dice tutto e soprattutto niente. “L’Italia cambia verso”, e non importa specificare come cambierà (infatti Renzi ha esortato gli elettori a scrivere al suo posto il programma). Punti forti: “L’Italia deve cambiare”, “L’Italia può cambiare”, “Servono idee chiare” (quindi qualcuno gliele dia), “Il Pd è oggi l’unica vera grande speranza” (parole forti), “Vengo dalle amministrazioni locali” (e non è detto sia un bene). Nel finale, Renzi ammette di avere “anche fatto tanti errori” e saluta gli elettori con un giovanilista “Un sorriso”. Probabilmente voleva scrivere Gimme five, tributo a uno dei suoi maestri intellettuali, ma poi si è frenato: per timore di apparire troppo colto.
Pittella è ormai il Che Guevara della Lucania. “Mai più alle larghe intese”, “taglio alle spese militari per finanziare l’istruzione”, “reddito di garanzia”. Se non avesse sbagliato partito entro cui candidarsi parrebbe quasi convincente, al di là di un tremebondo “senza infingimenti” che pare più arcaico dei melodrammi di Arrigo Boito.
Il più tenero è Cuperlo, così poco convinto da se stesso da vergognarsi quasi di chiedere il voto. L’incipit trasuda orgogliosa mestizia: “Cara democratica, caro democratico, io non so quale candidato hai deciso di sostenere come segretario nazionale o se stai ancora valutando chi, tra noi, corrisponda meglio alla tua idea di partito. Se hai già scelto di sostenere un altro candidato, ti porgo i miei più sinceri auguri e ti ringrazio se vorrai continuare a leggere queste righe”. Cuperlo, che si presume abbia scritto la email mentre si flagellava in un convento di frati dalemiani scalzi, cita Jean-Michel Guenassia (“Quello che per loro contava nella Terra promessa non era la terra. Era la Promessa”) e chiede al Pd di “cambiare se stesso”.
In un siffatto profluvio di entusiasmo contagioso manca solo un conclusivo “Ricordati che devi morire”, giusto per far sognare ancor di più gli elettori. Cuperlo ha però ancora tempo per sfoderare un tale grido di battaglia. Magari al primo confronto televisivo, con Renzi pronto a rispondergli: “Sì sì, mo ’ me lo segno”. Quasi come Troisi in quel vecchio film.
Il Fatto Quotidiano, 12 novembre 2013