Il cronista dell'Espresso, già minacciato da Cosa nostra, è citato in un messaggio anonimo con un riferimento preciso ad Arben Zogu, detto Riccardino, albanese in contatto con i Casalesi, di cui aveva scritto
Lirio Abbate si conferma il giornalista più minacciato d’Italia. Stavolta non è la mafia siciliana, né la ‘ndrangheta a impensierire gli uomini che lo scortano 24 ore su 24 da 6 anni. Bensì la mala che domina sulla Capitale. In particolare la Squadra Mobile di Roma sta indagando da mesi su una pista segnalata da un anonimo molto dettagliato: “Lirio Abbate deve stare attento a Riccardino l’albanese, uno dal quale dipende gente che spara”.
La segnalazione risale all’estate scorsa ma emerge solo ora perché Riccardino, all’anagrafe Arben Zogu, 40 anni, il 29 ottobre è stato arrestato insieme a Mario Iovine e ad altre 12 persone legate al clan dei casalesi. L’arresto è stato chiesto e ottenuto dai pm della Dda di Napoli, Antonello Ardituro e Alessandro Milita, che stavano indagando su altre vicende. L’indagine del Gico della Guardia di Finanza di Roma riguarda l’associazione a delinquere di campani e albanesi che era riuscita a imporre le proprie slot machine nei bar di Acilia e Ostia. I ‘casalesi’ mentre erano intercettati facevano riferimento al loro asso nella manica: due albanesi svelti di mano. Il primo era Orial Zogu, campione italiano dei mediomassimi nel 2012; il secondo, che sfrecciava sul suo T-Max insieme al pugile supertatuato, era proprio Zogu, detto anche Riccardino o Ricky. Per il Gip di Napoli che ne ha disposto l’arresto “era uno degli albanesi da chiamare nel caso in cui sia necessario procedere ad azioni di forza, ad esempio le spedizioni punitive (…) Ricky viene esplicitamente indicato tra coloro che, insieme con Orial, ha aiutato a sconfiggere la banda di rumeni che rubavano”.
Secondo la segnalazione anonima Riccardino l’albanese si interessava ad Abbate. Quando viene recapitata i giornali non avevano mai parlato del suo ruolo di picchiatore né del legame con i casalesi, né soprattutto con Michele Senese, un boss finito in carcere a giugno.
A rendere inquietante il messaggio anonimo sulla minaccia contro Abbate è il fatto che la colpa del giornalista – secondo la segnalazione – sarebbe proprio l’inchiesta di copertina pubblicata da L’Espresso nel dicembre del 2012: “I quattro re di Roma”. Come spesso gli capita, Abbate non si limitava a riprodurre nella sua inchiesta le indagini dei magistrati ma andava oltre. Grazie a un autonomo approfondimento giornalistico sul campo disegnava una mappa aggiornata con nomi, cognomi e sfere di influenza sul crimine romano, puntando il faro su personaggi pesanti ma a piede libero.
Uno dei quattro re di Roma era Michele Senese, detto ‘O pazzo. Poco dopo il suo arresto arriva la segnalazione che mette in guardia gli inquirenti sul pericolo attuale corso da Abbate a causa delle sue inchieste sui re di Roma. L’anonimo metteva in guardia Abbate proprio rispetto all’albanese Riccardino, che operava nella zona di Ponte Milvio e che aveva incaricato i suoi uomini, “gente che spara”, di pedinare il giornalista. La Procura di Roma guidata da Giuseppe Pignatone e la Squadra Mobile guidata da Renato Cortese hanno preso sul serio la segnalazione perché nelle conversazioni intercettate nell’indagine sulla criminalità di Ostia (che porteranno all’arresto di un altro ‘re di Roma’: Carmine Fasciani) un boss del litorale parlava di Zogu come di un soggetto vicino proprio a Michele Senese. Al punto che, quando il clan Triassi di Ostia vuole capire chi sia l’autore di un attentato si rivolge proprio a Riccardino e Michele Senese.
Le indagini non hanno trovato per ora riscontri alle affermazioni dell’anonimo e non ci sono indagati in questo fascicolo. Certo l’allerta resta molto alta perché, se la minaccia era vera a luglio, l’arresto dell’albanese a ottobre di per sé non l’ha fatta cessare. Altri potrebbero portare a termine il medesimo piano e la Polizia sta con gli occhi ben aperti.
Per Abbate non è una novità: persino il capo dell’ala stragista di Cosa Nostra, Leoluca Bagarella, se l’era presa con lui criticando dal carcere il suo lavoro quando Lirio era all’Ansa di Palermo . Dal 2007, quando scrisse un libro sui rapporti mafia-politica insieme a Peter Gomez (I complici, edito da Fazi) l’inviato dell’Espresso vive sotto scorta. La Polizia sventò un attentato davanti alla sua casa di Palermo e da allora il dispositivo di protezione per lui è la tutela di due uomini con auto blindata prevista per il livello di rischio tre. Dopo l’arrivo dell’anonimo nell’estate scorsa il comitato provinciale per l’Ordine e la sicurezza di Roma ha affrontato la questione in una riunione urgente per riorientare la protezione verso la nuova minaccia.
da il Fatto Quotidiano del 12 novembre 2013