Si è chiuso il terzo Plenum che avrebbe dovuto annunciare le riforme da attuare entro il 2020. Nella riunione a porte chiuse di quattro giorni è stato elaborato un piano generale, ma non c'è stata una presa di posizione sul versante finanziario
Nel comunicato ufficiale uscito dalla chiusura del terzo Plenum, il Partito comunista cinese ha ribadito il suo impegno per un ruolo forte dello Stato nell’economia impegnandosi in riforme “decisive” in settori chiave, di cui si vedranno gli effetti già entro il 2020. Nella riunione a porte chiuse di quattro giorni, gli oltre 370 delegati presenti erano chiamati a impostare la direzione politico-economica del paese per il prossimo decennio.
Ma poco si legge nelle righe del comunicato finale. Molti erano in attesa di un’esplicita presa di posizione sulla riforma finanziaria, ma il documento finale non menziona né banche, né tassi di interesse né renminbi, tre aree cruciali per i piani finanziari della Cina. Nessun accenno nemmeno alla tanto attesa riduzione del potere delle imprese statali in settori chiave come quello bancario, dell’energia, delle telecomunicazioni e dei trasporti. Molte parole e poche misure concrete, lamentano gli analisti occidentali.
Ma d’altronde il Plenum non emette programmi specifici e la lingua dei suoi documenti tende a essere volutamente vaga, lasciando spazio di manovra ai dipartimenti che si occuperanno della messa in pratica e dell’attuazione delle riforme. Il punto chiave è che “il settore pubblico e quello privato sono componenti altrettanto importanti di un’economia socialista di mercato e le basi fondamentali dello sviluppo economico e sociale della nostra nazione”. È la prima volta nella storia della Cina moderna che il settore privato viene collocato allo stesso livello di quello statale. Nel 1993, il Plenum che instaurò il “socialismo di mercato”, poneva ancora il settore privato sotto il controllo e la vigilanza di quello pubblico.
Alla radice dell’attuale trasformazione, la necessità di dare nuovo slancio all’economia del Dragone, che da tempo sembra avere leggermente rallentato. Il Partito ha anche promesso di affrontare il sistema “a due livelli” delle proprietà terriere e di superare il sistema che impedisce agli agricoltori di vendere i loro lotti di terra per trasferirsi definitivamente nelle città nelle quali ormai lavora buona parte di essi. “Gli agricoltori devono partecipare e godere dei frutti della modernizzazione“, si legge. Sempre in questo senso si può leggere la promessa di rendere trasparenti i bilanci pubblici e allineare il potere amministrativo con la responsabilità di spesa. Un cambiamento che, se attuato, potrebbe contribuire a ridurre le distorsioni del mercato immobiliare.
Tra le poche misure pratiche il Plenum ha istituito un gruppo per promuovere la riforma, così come una Commissione per la sicurezza sul modello del Consiglio di sicurezza nazionale statunitense. Purtroppo però ancora non è chiaro come questi due gruppi dovrebbero distinguersi dai gruppi di lavoro già esistenti. Il settimanale economico Caixin, inoltre, ha sottolineato che la Cina potrebbe presto rilassare la politica del controllo sulle nascite consentendo a tutte le coppie in cui uno dei genitori è figlio unico di avere due figli.
Il Plenum ha comunque sottolineato la necessità di mantenere l’autorità della Costituzione, garantire l’indipendenza del sistema giudiziario, riformare la burocrazia e migliorare la protezione legale dei diritti umani. Parole che stridono con le notizie di censura e repressione che hanno caratterizzato le pagine di cronaca degli ultimi mesi. L’obiettivo sarebbe quello di “Garantire che le persone siano padrone del proprio destino […] sotto la guida del Partito comunista”; “assicurarsi che il Paese sia governato in base alla legge” e quindi “fornire sostegno politico all’apertura e alla modernizzazione”.
di Cecilia Attanasio Ghezzi